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Beyazid_II

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Beyazid_II
Newbie
22/08/2018 | 21:58

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@Feynman said:
con le free non si puó stabilire un criterio, in genere tu stabilisci un target, ti proponi, e sono loro a scegliere. Possono usare mille mila criteri per sceglierti oppure no, quello economico, la famiglia di provenienza, la gente che frequenti, il lavoro che fai, lo stile di vita, se porti gli slip o i boxer, se sbagli o no i congiuntivi, oppure il segno zodiacale, come tratti i camerieri al ristorante, le tue idee politiche, la musica che ascolti, se sei tirchio o generoso, se hai degli amici fighi con cui possono metterti le corna, le tue capacitá amatorie, la tua etá, la macchina che guidi, la casa dove abiti, se sai cucinare, se sei simpatico alle amiche, se hai stile, se sei un leader, etc.
Sono donne, un criterio non c’é. Puoi essere sfanculato anche soltanto perché hai usato un tono di voce ritenuto non appropriato, oppure semplicemente per fartela pagare... pagare per cosa ? Il fatto che sei un uomo, proprio come il suo ex. 😁

Va bene fissare un target, ma l’unico.criterio per stabilire probabilitá di successo é fare tanti tentativi e acquisire esperienza.

Parole sante, caro Feynman. Per questo non capisco come sia possibile, razionalmente ed emotivamente, accettare di essere oggetto passivo di unilaterale arbitrio femminile (quando non di tirannica vanità e prepotente vanagloria) nel cosiddetto "free". Quando non addirittura di "ripicche arbitrarie" per presunte colpe nemmeno nostre! Ovvero di stronzaggine gratuita.
Altro che vietare la prostituzione per questioni di "rispetto della donna", se gli stati fossero seri, vieterebbero il corteggiamento a tutela della dignità umana maschile!

Beyazid_II
Newbie
22/08/2018 | 21:50

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@loveplay said:
Allora spieghiamo per bene una cosa fondamentale,se un trentacinquenne frequenta una ventenne,deve per forza frequentare un giro di amici,amiche e locali da ventenni.
Non è assolutamente facile perché ci si ritrova spesso a dividere i conti,vedere delle scene dell’asilo,dover fare orari assurdi il sabato sera,eccetera,eccetera,fino ad arrivare al punto che vuoi per qualche gelosia ,fumi ,alcool,ecc si venga ,per scherzo o per cattiveria ,a sentire la frase “sei vecchio “ ;
Deve proprio valerne la pena
Più passano gli anni e calano le possibilità ma si acquisisce esperienza e malizia,quindi se proprio uno si impegna e dice le parole che la ragazza vuole sentire e si atteggia come vuole lei,se prese in un periodo di debolezza si possono circuire e far innamorare.

Esatto, ma poi io non capisco tutto questo bramare le ventenni. Sinceramente, a me non piacevano del tutto neanche quando avevo vent'anni io. Esteticamente, e soprattutto intellettualmente, mi parevano incomplete rispetto all'ideale di donna che mi ero formato dai romanzi francesi e dannunziani. Volete mettere la scialba contessina Clara con la duchessa di Falconeri? O un qualsiasi sciacquetta adatta al massimo al salotti della De Filippi con Elena Muti? Sarò un pervertito della letteratura, ma per me la donna è completa solo vicino o addirittura dopo i trenta.
Mi ricordo che anche quando vedevo qualche mia coetanea bella, mi dovevo sforzare di vederla come tale (idealizzandola), mentre sarei stato naturalmente portato a desiderare bellezze più mature, che però, per questioni di social circle, erano ovviamente inavvicinabili.

Delle coetanee ventenni, poi, non sopportavo il loro voler a tutti i costi apparire "social" (anche prima di internet le giovin ragazze valutavano il mondo in base a quanto veniva ritenuto "figo" dal microcosmo sociale di riferimento) in ogni gusto, in ogni pensieri, in ogni valutazione, la loro mancanza insomma di personalità, il loro conformarsi ai divertimenti che andavano per la maggiore (all'epoca, le discoteche), il loro preferire argomenti di "divertimento" quali ritenevano allora essere gli "urlatori" del momento (mai concesso a certa gente il titolo di "cantanti") alla riflessione letteraria o filosofica. E tutto questo anche volendo dimenticare la loro stronzaggine in ogni ambito anche solo lontanamente "amoroso" (che, ripeto, non vedo più, o perlomeno non a quei livelli pervasivi e gratuiti, in età successive).

Pensare di dover dopo vent'anni, tornare a vivere in quella maniera assurda dalla quale mi ero dissociato già allora mi farebbe venire i brividi.

Beyazid_II
Newbie
22/08/2018 | 20:26

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@ArietBack said:
infatti, sono d'accordo
la donna sceglie sempre....l'uomo deve farsi notare in mezzo agli altri
ma come fa nel 2018 con una ragazza tipo descritta sopra?

Scusate, non ce l'ho con nessuno di voi due, ma mi pare un dialogo fra due post-uomini a cui il femminil-femminismo ha completato il lavaggio del cervello.

Come fate ad accettare una tale sistematica disparità di potere in favore della donna proprio in quelle scelte da cui dipendono la discendenza della stirpe e la felicità individuale?
Io, che sono l'ultimo dei cretini, ho smesso da vent'anni con il free pur di non sottomettermi a questa logica.
Ho iniziato a preferire il pay proprio per avere di fronte qualcuna che abbia bisogno e brama del mio denaro come io ne ho della sua bellezza.
E mi sono detto: "solo se e quando avrò costruito con lo studio, il lavoro, la ricchezza, la posizione sociale, la fama, la cultura, il potere un insieme di "valori" immediatamente apprezzabili ed intersoggettivamente validi alla pari della bellezza, con cui essere amorosamente disiato, socialmente accettato ed universalmente mirato come le belle donne lo sono per le loro grazie e con cui quindi star lor di paro, tornerò al free".
Ho fallito nella carriera lavorativa, e quindi non scoperò mai più free, ma almeno non ho ceduto a diventare uno zerbino, uno che si deve offrire alla cieca o quasi lasciando alla controparte tutto il potere di decidere se divertirsi con me o su di me, o comunque un oggetto di scelta unilaterale altrui che adegua il proprio pensiero, la propria vita, il proprio "social" solo in funzione dei capricci delle fanciulle.
Sarò pure sfigato e infelice, ma almeno sono libero. E scopo, pagando, forse più e meglio di tanti "fighi social".

Elevando il discorso da un piano eudemonico ad uno anagogico: siete proprio sicuri che la scelta femminile debba essere la norma?
Credete davvero che "è la selezione naturale"?
Ma se lo stesso Nietzsche (pur accusato ingiustamente di riprendere il darwinismo sociale) ammette che "l'uomo è un termine" (ovvero non ci sarà una specie successiva), perchè insistere nel protrarre schemi selettivi che funzionano per l'evoluzione della specie, e non già, come servirebbe all'uomo, per stabilire quale tipo umano debba diventare dominante e perpetuarsi?
Perchè questo è il punto. Quale uomo una società che voglia generare verso l'alto deve volere?
Lo zerbino del femminismo o il superuomo rinascimentale?
E il tipo umano è deciso innanzitutto dai valori con cui viene "voluta" la sua nascita.
Vi lasciate davvero incantare dalle "trasposizioni" del mondo naturale in cui la femmina seleziona il maschio di turno secondo presunte necessità di natura o secondo la sua "sensibiità"? State attenti: questo sì accade a livello istintuale, ma da tempo le società storiche hanno costruito contromisure a favore del maschio, dell'uomo inteso latinamente come "vir". Gli uomini più virtuosi della storia, ovvero i Romani Antichi, hanno un episodio molto significativo al riguardo: il ratto delle sabine. Secondo la narrazione femminista si tratta di uno stupro (proprio perchè, finalmente, gli uomini trovano il modo di rendere la scelta sessuale funzione non del capriccio naturale femminile, ma di una volontà sociale stabilita dai migliori fra gli uomini, e per le femministe è stupro qualsiasi rapporto non avvenga secondo la tirannica vanità di una scelta femminile unilaterale e non compensabile), mentre secondo il mito romano è semplicemente la nascita della famiglia modello.
I soldati di Romolo non aggredivano le Sabine per violentarle secondo il proprio capriccio (come avviene negli stupri di gruppo a cui la menzogna femminista pretenderebbe di associare persino questo episodio), bensì per farne le loro spose con un ordine di merito socialmente stabilito (le più belle agli uomini più virtuosi e più alti in grado). "Perchè sciupi i tuoi occhi incantevoli con le lacrime? Quello che tuo padre è per tua madre, questo sarò per te" - ci racconta Ovidio che i più sensibili dei romani dicevano alle ragazze impaurite e piangenti. Insomma, la virtù (ovvero il valore) verso cui la società (e quindi la sua perpetuazione su base sessuale) deve volgersi per elevarsi non può non decidere la scelta degli "accoppiamenti" quando questi non siano puri divertimenti fra adulti, ma decidano della discendenza. Lasciare il potere di scelta al capriccio della donna, intesa come forza naturale o come individuo, significa lasciare che non siano più quei valori virili e aristocratici che ammiriamo in Virgilio e in Omero a guidare la società, ma il matriarcato o il capriccio consumistico. Certo, da secoli purtroppo è così e vediamo i risultati. Vi ho riportato questo esempio estremo solo per farvi riflettere sul fatto che, anche uscendo dal nostro individualismo, non è "bene" lasciare alle donne il potere assoluto sessuale fatto passare come libertà di scelta. Lo capirono persino le Sabine, le quali, potendo ritornare assieme ai proprio familiari che frattanto avevano iniziato ad ingaggiare il combattimento contro i romani, fermarono lo scontro fra gli uomini con (per una volta) saggezza femminile. Per celebrare questo c'era in Roma una festa della donna. Quale differenza con l'attuale 8 marzo di origine socialista e femminista!

Beyazid_II
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22/08/2018 | 19:05

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@Itaconeti said:
certo che di media le universitarie stanno con studenti coetanei ma perchè di media è quel che trovano nel giro di amicizie

ma quelle che riescono a entrare in un giro di 30-38enni in carriera agli studenti coetanei danno il ciaone

da studente le cose di gnocca mi andavano nella media senza infamia e senza lode

da 30-38enne in carriera ho avuto una sfilza di fidanzate figone studentesse tra 19 e 23 anni che da studente mi sognavo

Mi ritrovo molto nelle parole di Itaconeti.
Ricordo i miei vent'anni come il periodo più buio della mia vita, in cui qualsiasi ragazza, per il solo fatto di esser nata per caso femmina, riceveva ovunque il sorriso degli astanti, il sospiro dei disianti, la venerazione dell'ambiente maschile in generale e in cui io e gli altri, a prescindere da qualunque apparenza fisica e da qualunque dote di sentimento o intelletto, venivamo ridotti a comparse d'ultimo rango.
Nessuno dei miei amici stava con qualcuna di cui essere non dico invidioso ma almeno interessato. E non riuscivo a cambiare percezione nè al liceo nè all'università nè uscendo con amici. Essere nato maschio mi pareva la peggiore delle sfighe.
Almeno in quel periodo in cui non si poteva ancora costruire nulla per bilanciare socialmente, in desiderabilità e potere, la bellezza che già fioriva sulle coetanee. Cosa importava conoscere o meno una ragazza in un giro di amicizie? Non si avevano armi per interessarle. E non parlo solo di me. Vedevo che anche per gli altri era così. Non riesco neanche ad immaginare questo gineceo bocconiano di cui parla Ariet, con tutti questi studenti che solo perchè carini e benestanti e nel giro giusto non hanno difficoltà ad essere trattati umanamente da belle ragazze altrimenti stronze. I miei vent'anni erano un inferno speculare. Nulla di cui avere nostalgia.

Dieci-quindici anni dopo è tutto diverso. Amiche o colleghe non dico belle (siamo ad ingegneria...) ma per qualcuno trombabili, forse perchè "alla frutta" o forse perchè semplicemente "maturate" al punto di apprezzare doti come il gusto poetico, la capacità di riflessione, la profondità di spirito o la finezza di intelletto che da giovani si disprezzano in funzione della "figaggine" e del "social circle", mi trattano non dico con amore, ma almeno con rispetto, quasi con una parità sul piano sessuale che non ho mai conosciuto. Adesso essere semplicemente "carini" è apprezzato ed anche solo avere una vita agiata (grazie all'essere single e figli unici) diventa un elemento che suscita interesse. Mi spingo a dire che se non avessi ricevuto un certo trauma proprio a vent'anni e avessi ancora cuore di corteggiare, o comunque di provarci, magari usando cultura ed eloquenza come dice Flauto, magari certi due di picche diventerebbero un paio d'ore o di mesi di divertimento o di "amicizia erotica". E' un exemplum fictum, sia chiaro.
Pur non avendo avuto la carriera remunerativa di Itaconeti, mi sento molto meglio ora rispetto all'altro sesso che non a vent'anni.

Beyazid_II
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22/08/2018 | 18:51

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@Feynman said:
@Beyazid_II

Aggiungo soltanto al precedente post che gli stessi ostacoli sociali che dici di incontrare tu, precarietá e preclusione di carriere accademiche, li ho incontrati anche io spesso, con obbligo di reiventarmi più volte nella mia vita e diventare imprenditore di me stesso. Il fatto che tu mi abbia associato ai senior, quelli dei ‘diritti acquisiti’ per intenderci, é una toppa colossale. Magari facessimo la rivoluzione (io sarei il primo), e mandassimo un po’ di questi vecchietti in pensione. Ma in pensione vera, non in pensione da dove continuano a lavorare con le finte consulenze.

Tutto questo, come si dice, per completezza di informazione.

Ognuno di noi a storie diverse e magari riguardo a te ho toppato. In generale, però, non credo sia una toppa parlare di ingiustizia generazionale. Le generazioni successive alla mia hanno molte meno possibilità, a partire dall'assenza di tutele sul lavoro per finire con la maggiore virulenza del femminismo che distrugge psiche e autostima, passando per la mancata possibilità di usare il differenziale di ricchezza che un tempo avevamo rispetto all'est europa per trovare gnocca di miglire qualità con minore impegno rispetto al melanzanistan.

Rispetto la tua storia, ma mi ricordo che quando io ero studentello, chi era già ingegnere aveva stipendi che poi io e i miei "successori" ci saremmo sognati. Per non dire del posto garantito all'università per chi avesse avuto la pazienza di "mettersi in fila". Oggi tutto è cambiato in peggio (con la scusa del solito "progresso"). Cerca di capire che per me (ma anche per gli altri più giovani e ancora più precari) è difficile farsi "imprenditori di se stessi" quando per decenni si è lavorato per costruirsi una carriera laddove tutto si basa su "complessi castelli con gli stuzzicadenti".

Meglio che non ci pensi. Spero di finire questo romanzo sui miei primi quarant'anni prima di diventare il primo disoccupato generato dalla Gelmini.

Beyazid_II
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22/08/2018 | 18:44

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@FlautoMagico said:
"in spiaggia in Thailandia a fare una nuotata, prendere il sole, e sorbirsi un fruitshake tra una trombata e l'altra.con la gnocca."

@Feynman è evidente che sei una persona di spessore, e anche molte cose che hai scritto sarebbero da commentare. Questa semplice frase buttata lì tra un concetto e un altro però mi ha allargato il cuore, perché godere di una Gnocca come si gode di uno shake e subito dimenticarsene è forse il segreto della felicità.

Purtroppo ci sono anche le malattie, la Gnocca bisognerebbe coltivarla in una serra e poi quando è matura si toglie dal cellophane e si consuma, io invece riesco solo a complicarmi la vita con più storie di quelle che posso gestire.

Anche io, quando ho capito che, dall'ambito lavorativo anti o pseudo meritocratico, non avrei avuto soddisfazione alcuna, ho da tempo adottato la filosofia di @Feynman.

Ho anche smesso di chiedermi perchè io o le circostanze abbiamo buttato, socialmente parlando, a mare la mia vita. Ed ho iniziato a godermela comunque.

Solo che io, dopo aver inutilmente primeggiato nello studio, ho preferito continuare con la conquista dell'inutile iniziando a salire vette da solo in ogni angolo delle Alpi, rischiando a volte pure la pelle per puro divertimento. E poi, con ancora l'adrenalina addosso, gustarmi il piacere di sentirmi ancora vivo trombando selvaggiamente le belle fanciulle degli FKK. So che per te non sono granchè, ma non avendo le tue capacità di conquista free non potrei fare altro...
Saranno sempre meglio della masturbazione nella cameretta dopo ore di studio sedentario e di viaggio immaginario.

Beyazid_II
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22/08/2018 | 18:34

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@Feynman said:
@Beyazid_II

Ho letto con interesse i tuoi precedenti scritti sull'inganno alla base delle teorie femministe, e i tentativi degli uomini di riequilibrare con meriti, denaro, successo e potere dei rapporti sbilanciati tra i sessi.

Al di là del mio precedente scritto goliardico, in cui tra il serio e il faceto ti facevo notare che il rifugiarsi nei grandi costrutti razionali è una fuga dalla realtà, così come è stata una fuga dalla realtà per Leopardi, o per John Nash, se vogliamo parlare anche di scienziati.

La fuga dalla realtà, che può servirsi di droghe, costrutti razionali, elaborazione del software, scrittura di libri, ludopatia, o tutto quello che ti pare, fornisce un temporaneo sollievo in quanto fornisce l'illusione di avere il controllo sulla realtà, quando invece della realtà ci si è ritagliati un piccolo pezzettino e si è lasciati fuori tutti gli altri.

Non è una critica personale nei tuoi confronti, io stesso ho la tendenza a compensare mancanze a livello emotivo con un'iper-razionalità. Ma il mondo sociale, come hai detto tu, non fa scelte razionali, e in un contesto in cui non è premiato il merito, i costrutti razionali sono visti sempre con diffidenza e distacco. Soprattutto le donne, fanno scelte emotive e non razionali, e mettere in mostra le proprie capacità, elaborarando costrutti razionali di hegeliana complessità, così come il pavone che mostra la ruota, genera nelle persone mediocri l'effetto opposto di quello che si vorrebbe ottenere.

In un periodo della mia vita in cui ero anch'io concentrato ad elaborare costrutti teorici di straordinaria complessità, ho visto casualmente un film intitolato "La cena dei cretini".
Il protagonista era un tizio che aveva l'abilità di costruire strutture complesse utilizzando degli stuzzicadenti, tipo la Torre Eiffel e roba simile. Lui si vedeva come un genio, e si chiedeva perchè la gente non lo riconoscesse come tale e lo sottovalutava. Ecco, lui era il cretino invitato a cena da persone infinitamente più misere e cretine di lui, ma solo e unicamente per deriderlo e umiliarlo.
Dopo aver visto il film mi sono chiesto se per caso non stavo anche io costruendo dei monumenti con degli stuzzicadenti che non interessavano a nessuno. E ho deciso di mettere un limite ai ragionamenti, di costruire un recinto al di là del quale il percorso diventava inutile e limitante (qualcuno lo chiama ecologia della mente).

Tutto questo non ha niente a che vedere con quello che scrivi, possono essere anche degli sprazzi di luce e verità sull'universo che illuminano il creato. Ma ognuno deve decidere che tipo di vita vuole condurre, quella chiusa in biblioteca di Leopardi, nei laboratori nello scantinato di un'università inglese, scrivere su un forum come se fosse telefono-amico, oppure in spiaggia in Thailandia a fare una nuotata, prendere il sole, e sorbirsi un fruitshake tra una trombata e l'altra.con la gnocca.

Perchè l'unica cosa certa è che dopo che saremo morti saremo solo morti, che si sia stati Leopardi, Kant, Cicerone o Lucio Battisti, non importa..

Chi vuol esser lieto sia, di doman non c'è certezza.

Caro Feynman,
Scusa se me la sono presa con il tuo scritto goliardico scambiandolo per le tante prese in giro dirette nei miei confronti da compagni e colleghi dalle medie al periodo attuale. Purtroppo, la tua risposta mi è giunta in contemporanea con l'ultima uscita dell'Anvur (che rischia di mettere una pietra tombale sulla mia possibilità di rimanere in accademia) e ciò ha creato un cortocircuito nella mia mente.

Mi va anche bene che l'avere pochi amici, un "social circle" (come dice qualcuno a proposito del cuccaggio) troppo ristretto, il concentrarmi troppo in costrutti razionali ed il non dire o fare cose "alla moda" implichi l'impossibilità di ottenere gnocca free, ma che gli stessi motivi debbano precludermi la possibilità di rimanere nella ricerca scientifica mi sembra un tantino esagerato. Eppure questo è quanto mi sta preparando l'Anvur (con la firma del nuovo ministro che, alla faccia del cambiamento, ha avallato quanto già in atto dal 2011).

Merita una spiegazione (sperando di farmi perdonare). Come forse già saprai, ci sono tre indicatori soglia che bisogna superare (anzi ne bastano due su tre) per essere valutati "positivamente": il numero di pubblicazioni, il numero di citazioni e l'h-index (si ha h index h quando si hanno h pubblicazioni citate h volte).

Tralasciando il particolare "filosofico" che una valutazione di questo genere è puramente quantitativa (con tanti saluti alla sbandierata "qualità della ricerca" che si vorrebbe valutare, ma, si sa, filosofi più autorevoli di me hanno da decenni rilevato come viviamo nell'era della quantità),

Se la prima soglia può essere (con molti distinguo) in qualche modo una misura del lavoro svolto da un ricercatore (se si lavora bene, si ottengono un certo numero di pubblicazioni su riviste prestigiose, al limite lavorando da soli o come primo autore, al netto del fatto che anche chi lavora poco e mediocremente può comunque pubblicare bene se si trova all'interno di un gruppo "forte" in tal senso, magari dando, opportunamente guidato, un contributo minimo appena sufficiente ad apparire fra gli autori, ma di questo ci possiamo disinteressare come insegna in vangelo con la parabola dell'operaio che non deve lamentasi se anche chi ha lavorato di meno percepisce la stessa paga) salta subito all'occhio come le altre due siano fortemente correlate, dipendendo entrambe sostanzialmente da quanto si riesce a farsi citare.

Nel panorama attuale, dove ogni mese escono migliaia di pubblicazioni da parte dei milioni di ricercatori sparsi nel mondo, è assolutamente impensabile che qualcuno, cercando semplicemente per parole chiave, si trovi per caso a leggere proprio il tuo paper e decida di citarlo perchè "meritevole". Non nego che chi sappia pubblicare un lavoro da nobel (o comunque di grande ed oggettivo impatto) riceva in seguito un numero esorbitante di citazioni a prescindere da quanto elencato sotto, ma si tratta di casi isolati, appunto da nobel, non certo la norma con cui valutare la massa dei lavori di ricerca. Certo, se un lavoro ha 1000 citazioni, allora probabilmente (al netto della "fama" dell'autore che aumenta le citazioni con effetto di retroazione positiva) è davvero valido, ma si tratta, appunto di eccezioni. Fra un paper che ha zero citazioni ed uno che ne ha dieci o venti o anche trenta (e nel 99 percento dei casi si è in questa situazione), a decidere sono i successivi punti 1,2 e 3, non la differente qualità. Fuori dalle chiacchiere sul merito, infatti, sono tre i fattori a determinare il numero di citazioni:
1) il numero di persone che lavorano a topic simili: più è elevato, più è probabile essere trovati, letti e citati (ma questa è una misura di quanto l'argomento su cui si lavora è "alla moda", non di quanto sia elevata la qualità della ricerca);
2) il numero di "amici" che ci conoscono e conoscono su cosa lavoriamo: sono essi che possono citarci (o farci citare) quando si trovano a scrivere o a revisionare un paper anche solo alla lontana "correlato" (ma questa è una misura della capacità di un ricercatore di "fare amicizie" alle conferenze e di coltivarle in seguito, non di fare ricerca);
3) il numero di "amici" che sono anche editor di qualche rivista (per chi non lo sapesse, l'editor è colui che assegna le peer-review di un paper e che in ultima istanza, sulla base dei report dei revisori, decide per il sì o per il no): far assegnare con ritmo serrato e costante a se stessi o ad amici revisioni di paper affini al proprio lavoro è il modo più rapido e sicuro per essere citati (scontantare il revisore significa infatti bocciatura certa, per cui l'autore si guarderà bene da non accettare il suggerimento di inserire questa o quella citazione nella bibliografia).

Insomma, se non si lavora o si lavora male, ma si hanno molti "amici" (meglio se "potenti"), si possono passare due soglie su tre (quelle che dipendono dalle citazioni). Se si lavora bene, ma isolati o con pochi collaboratori privi di amicizie influenti, se ne può superare al massimo una (quella che dipende dalle pubblicazioni su riviste prestigiose e selettive). Nel primo caso ci si può abilitare, nel secondo no.

Cosa è cambiato l'altro giorno che mi ha fatto alterare anche con te? Ciliegina sulla torta: è stata abbassata la soglia sulle pubblicazioni (l'unica che, con tanta fatica, avevo raggiunto negli ultimi anni) ed aumentate quelle relative alle citazioni (che vedo ormai come miraggi).
Praticamente il messaggio che ricevo è: "lavora di meno dietro la tue siepe, nel silenzio del tuo ufficio, alle tue pubblicazioni su riviste anche prestigiose, che tanto restano seghe mentali e castelli di stuzzicadenti anche quando validate da revisori seri e da comitati editoriali selettivi, e spendi più tempo a conoscere gente, a far conoscere i tuoi lavori quali che siano, ad autopromuoverti, a scendere nella Recanati social".

Ecco perchè ho inconsciamente confuso te e l'Anvur. Mi sembravate dire le stesse cose.

Se posso goliardicamente accettare inviti del genere in termini di gnocca (e, comunque, nel profondo, continuo a non accettarli nemmeno lì), non posso ammetterli in ambito scientifico.

Qui la scienza di oggi sta veramente cambiando il criterio di verità dal vero/falso al piace/non piace. Un lavoro insomma non viene più valutato leggendolo, in base ai risultati che trova e al rigore con cui li persegue e li dimostra, ma a quanta gente lo conosce e ne parla. Roba che parrebbe inadeguata persino nella letteratura e nell'arte. Giudichiamo le barzellette di Totti superiori ai grandi romanzi solo perchè più citate? La validità di un film si misura davvero soltanto dal successo al botteghino? Non esistono più, nell'arte divenuta mercato, valori come l'Estetica o la Poesia? E se la cosa già è discutibile in ambito umanistico, figuriamoci in quello scientifico.
Eppure questo sta accadendo. Si sta insomma applicando alla ricerca scientifica il principio di facebook. Hai pochi amici e pochi like? Allora non sei nessuno a prescindere dai tuoi risultati che pretendi oggettivi. Poi ci si lamenta se la scienza perde autorità anche in politica? Giusto così, se la scienza si sta autodistruggendo ed autoscreditando in questo modo.

Perchè sto pagando scelte non mie?
Perchè per dieci anni (dal 2004, quando mi sono laurato, diciamo fino al 2014, quando sono finito in esilio temporaneo in Germania per mancanza di fondi italici) sono stato a vario titolo precario della ricerca e non avevo affatto il privilegio di decidere in autonomia quanto e come fare ricerca. Dovevo fare quanto mi veniva ordinato (comprese lezioni "abusive" in aula in vece di chi non ne aveva voglia, consulenze per fargli prendere soldi extra e attività di "segretariato" vario nelle quali non si fidava delle segretarie). Non solo il tempo dedicato alla ricerca era ridotto rispetto alla norma, ma anche gli argomenti della ricerca erano stabiliti "dall'alto": spesso in maniera estemporanea, a volta dettati da scenari "aziendali" con cui si aveva a che fare, mai secondo criteri "bibliometrici". Da quando le regole Anvur hanno iniziato a bocciare gente che secondo il mio "barone" avrebbe dovuto essere promossa, il vecchio si è finalmente svegliato. Da qualche anno ho in effetti l'autonomia di ricerca prevista dalla legge e difatti, in tre anni, sono riuscito in autonomia a "superare" la soglia delle pubblicazioni. Purtroppo, per le citazioni, avrei bisogno della macchina del tempo: tornare indietro e decidere di non pubblicare lavori difficilmente citabili, indirizzandomi invece sui giusti compromessi fra le mie capacità e quanto può essere realisticamente apprezzato dalla bibliometria. Questo sto facendo, ma, considerando che ci vuole un anno per fare un lavoro (se da soli o comunque come primo autore), un anno per farlo pubblicare e un paio d'anni per farlo conoscere e quindi citare, capirai che rischio di finire fuori tempo massimo (vedi legge Gelmini). Se fossi stato lasciato lavorare da solo dall'inizio, avrei, come tutti (e come ho fatto ora), individuato un argomento per cui essere negli anni, lavoro dopo lavoro, riconosciuto e su cui, quindi, ricevere la possibilità di revisionare papers simili (da cui trarre le citazioni con la bad practice di cui ai punti 2 e 3). Purtroppo lavorando "ad hopping" fra questo e quell'argomento voluti estemporaneamente dal barone, questo non è successo. E non è stata una mia scelta.
Se poi avessi avuto il privilegio di chi oggi passa per genio di essere messo a lavorare insieme ad altri già affermati su un argomento dal grande potenziale citazionale, avrei forse anch'io quelle centinaia di citazioni complessivamente richieste.

Non solo, invece, non ho avuto questo aiuto dagli altri, ma ho avuto pure impedimento a lavorare solo (ho dovuto faticare all'inizio per far capire l'importanza di potermi ritagliare un argomento "individuale" spendibile anvurianamente).

E non so nemmeno se prendermela più con il vecchio barone vicino alla pensione (che credeva di fare il mio bene e non pensava di trovarsi un giorno impotente ad aiutarmi) o con le regole Anvur.
Di certo c'è che rischio di rimanere stritolato dal cambio di regime baronato-pseudomeritocrazia.
Se fossi nato prima, avrei avuto come ricompensa del decennio di gavetta un posto fisso da associato o simili (come hanno i senior che mi deridono), se fossi nato dopo, avrei comunque avuto fin dall'inizio modo di lavorare pro-anvur (come in effetti stanno facendo i più giovani, anche se più precari).
Sono nato invece proprio nel momento sbagliato: dieci anni di baronato ricompensati dalla situazione attuale (ricercatore a termine con difficoltà a raggiungere le soglie bibliometriche e dunque "deriso" come "schiappa" dal sistema anvuriano).

Ricapitolando le conseguenze del regime anvur descritto sopra (regime "meritocratico"): la posizione all'università dipende dal numero di amici e dal potere ricattatorio (editor, revisioni per ottenere citaziono ecc.) che attraverso questi posso esercitare su chi lavora nello stesso ambiente. A casa mia un sistema siffatto non si chiama meritocratico, si chiama mafioso. Per combattere il baronato, si è quindi costruito un sistema se possibile ancora peggiore. Al barone locale si è sostituita una mafia mondiale (citation clubs e simili).

Almeno nel vecchio baronato, a parte casi di familismo e di corruzione, il "maestro", di solito, sceglieva come proprio successore, l'allievo che riteneva migliore (è stato così dai tempi di Fermi). Magari poteva sbagliare, ma almeno era la persona più indicata a giudicare. Adesso invece, con la scusa della trasparenza, si pretende di poter giudicare il lavoro di ricerca unicamente in base al curriculum e ai numeri.
Purtroppo, la ricerca universitaria è più variegata complicata dello studio liceale (in cui si possono confrontare tutti alla pari sulla base di un programma ministeriale) o di uno sport agonistico (dove i risultati "non mentono" proprio perchè sono confrontabili).
Confrontare persone che lavorano in ambienti diversi a cose diverse è come valutare se sia più blu il blu o rosso il rosso.
Solo chi ha personalmente lavorato con un ricercatore (e conosce quindi l'effettivo contributo personale al lavoro) può giudicarlo. Non certo chi legge dei numeri (e non può sapere fra n autori chi ha fatto cosa).
A me è capitato di lavorare con gente dal curriculum stellare che non capiva le cose nemmeno dopo averle spiegate
e con persone senza curriculum che hanno fatto in autonomia cose magnifiche una volta ben instradate.

Peccato tu non abbia seguito la carriera accademica. Se, come me, amavi ideare da solo "costrutti teorici di straordinaria complessità", avresti avuto grande successo nella scienza di oggi, dove i lavori teorici con un forte substrato analitico vengono apprezzati più di simulazioni e sperimentazioni (semplicemente, perchè in toto controllabili, carte alla mano, dai revisori). Io non ho potuto farlo (se non parzialmente) per 10 anni (causa obbedienza agli ordini del barone) ed ora che posso farlo a piacere a volte mi sorprendo a divertirmi lavorando. Se non fosse per la minaccia che tutto finisca per colpa dell'Anvur.....

E poi, permetti, sto vivendo una vera beffa. Quando i "numeri" si riferivano all'attività individuale (dalle pagelle delle elementari fino al libretto universitario) ed io primeggiavo (ai punti, a dirla tutta, avendo visto diversi curricula di studi, pur con il piccolo anacronismo di confrontare anni diversi dello stesso vecchio ordinamento quinquennale, "vincerei", di misura, al secondo decimale dopo il 29 virgola di media, anche contro chi è oggi è già associato ed è ritenuto una stella) vigeva il "buonismo" (non si può bocciare, non si possono ridurre le persone a numeri, eccetera, tanto che di tali primati non ho avuto alcun vantaggio se non l'esenzione per merito di trentamila delle vecchie lire ai tempi del liceo). Ora che i numeri si riferiscono a lavori di gruppo e sono finito (per i motivi esposti) in fondo alle classifiche, vige il "cattivismo" del "chi non ha i numeri deve uscire dal sistema". Quando penso che per "avere i numeri" sarebbe bastato fare quello che sapevo e amavo fare (e cioè grandi trattazioni analitiche da costruire ex-novo o quasi)....

Sì, certo, magari le mie costruzioni mentali analitiche sono inutili come le cattedrali con gli stuzzicadenti del cretino che citi, ma ti assicuro che il 99,99 percento della produzione scientifica contemporanea, ivi compresa quelle delle "star internazionali" del mio settore, non contiene nulla di sostanzialmente diverso o di più utile (solo di più citato). Devo essere discriminato proprio io?

Concludendo questo sfogo, anche avendo l'AK47 non saprei in effetti a chi sparare: all'Anvur che ha creato un sistema basato su criteri più letterari che non scientifici, o al barone che mi ha fatto lavorare in direzione diametralmente opposta per dieci anni?
Magari, da un punto di vista strettamente scientifico, era giusta la direzione del barone e sbagliata quella attuale dell'Anvur. Certo che se avessi potuto fare di testa mia (pubblicando solo su quel paio di argomenti sentiti come miei, principalmente lavori teorici), senza considerare nè anvur nè Barone, forse adesso avrei comunque almeno un h-index decente (oltre alla maggiore soddisfazione di aver lavorato secondo criteri miei e non altrui).

Morale della favola: perchè tengo questo 3d letterario? Perchè se devo anche nella scienze essere valutato con criteri da letteratura, tanto vale perdere il mio tempo sulla letteratura vera!

Beyazid_II
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20/08/2018 | 13:35

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@Feynman said:
Propongo di cambiare il titolo del thread in “Pippe mentali all’ennesima potenza”.

Perchè, quelli che fuori da qua vengono chiamati pomposamente "valori", sono qualcosa di diverso?

@Feynman said:
Così, come chi ‘non ha dolce donzell con cui deliziar il nobile augell’ finisce leopardescamente a ‘sollazzar il proprio membro con mano’, ingobbito e ripiegato su sé stesso, confondendo la forma con la sostanza, tradendo la funzione biologica riproduttiva con un surrogato falangeo, con l’unico fine della scarica endorfinica che, nè più nè meno di una sostanza dopante psicotropa miri non alla veritá dinamica del creato, ma all’offuscamento della mente e al riequilibrio energetico del neurotrasmettitore, mentre al di lá della siepe, che il guardo esclude, interminati
spazi e infiniti silenzi vivono nel sabato del villaggio,

Già venti anni fa ti avrei risposto che di Leopardi si ragiona ancora, mentre dei recanatesi che si divertivano resta si e no il nome nel cimitero (se non li hanno ancora traslati). E poi vogliono fare il festival della poesia...

@Feynman said:
allo stesso modo la razionalitá onanistica prende il sopravvento, e tradite le istanze romantiche del creato il ratto s’apprende, il ratto apprende d’aver fatto la fine del topo, e vacillando nel suo rapporto con l’esistenza, naufragando e non riuscendo a interagire con esso, e con il sesso, cerca un appiglio e nel pensier si finge, si finge scrittor, nobile letterato, un intellettuale, un artista che lontano dai riflettori del palcoscenico tradizionale, sceglie l’arena del sottobosco gnoccatravellesco-cavalleresco per rappresentare sé stesso al creato, e rappresentare il creato a se stesso,

Tu e gli altri dovreste soltanto rigraziare che, almeno per ora, io ed i miei simili ci accontentiamo del sottobosco. Se dell'esistenza ci sono rimaste solo le briciole perchè i baroni all'università hanno preso al nostro posto scelte sbagliate che dobbiamo pagare sulla nostra pelle e i politici nell'occidente si sono venduti ad interessi altrui, si potrebbe anche uscire allo scoperto ed usare l'AK47 al posto della penna. Personalmente di saper interagire con la realtà ho dato prova dal primo giorno di prima elementare fino alla tesi di laurea (i numeri, quando i risultati dipendenvano da me solo, non hanno mai mentito). Ed anche dopo quando posso lavorare con i criteri che mi sono propri. Certo, se "lavoro di gruppo" significa pagare il fio della mediocrità altrui e delle decisioni scriteriate di chi è abituato a comandare per grazia ricevuta e lo fa "divertendosi" sulla pelle altrui senz'altra preoccupazione che di far vedere aver sempre l'ultima parola (anche quando è un'emerita cazzata) allora ho comprensibilmente poca voglia di interagire in questo "lavoro". Meglio dimenticare questo genere di "scienza" (almeno in vacanza) e rifugiarsi nella letteratura. Se però volete l'interazione col mondo, non lamentatavi se a quel punto si dovrà parlare di politica (che invece volevamo fuori dal forum).
Sono abituato dall'età scolare ad essere irriso da gente che non vale un pelo del mio culo e ormai sto facendo l'abitudine alle prediche da parte di chi, senza meriti particolari (se non magari quello di essere nato in tempo al posto giusto), si trova in posizione socialmente privilegiata e accusa chi isolitamente più giovane) si trova più in basso non di essere stato sfortunato o ostacolato, ma semplicemente di "valere meno". Se ogni tanto scendesse sul ring a confrontarsi direttamente, questa gente...

@Feynman said:
ma ahimé d’in sù la vetta della torre antica, il passero é solitario, e a nulla serve osservare incantati la danza di Shiva sulle pareti della caverna platonica, Lei non c’é, non c’é il Femminile, prorompente istanza categorica del creato, energia riproduttiva, metafisica e trascendentale, che sublima se stessa negli orgasmi liquidi di una notte. Cosa resta ? Il Re é nudo, resta soltanto una deriva quantistica razionale, il gatto é vivo o morto ? un’equazione ce lo dirá, ma non espressione di una matematica assoluta che, ingegneristicamente parlando, ha ragione d’esistere soltanto in rapporto con il creato, con le multiformi possibilitá dell’esistenza. No, tra Eros e Thanatos abbiamo scelto Thanatos. Che il destino si compia, lo spettacolo é finito signori, un applauso del pubblico, nel pensier mi ‘fingo’ e naufragar m’é dolce in questo mare.

Aspetta, aspetta, che le donne verranno. Per ora non mi sembra il caso di dire che ha vinto Thanatos solo perchè ho fatto cilecca la prima volta! E poi certo che se scegliere l'eros costa due milioni delle vecchie lire, anche Schroedinger avrebbe preferito l'alternativa...

Beyazid_II
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19/08/2018 | 00:29

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QUARTO GRADO: DA MARSILIO FICINO A FRIEDRICH NIETZSCHE (2/18)

Ovvero: "LE DONNE, I CAVALLIER, L’ARME, GLI AMORI, LE CORTESIE, l’AUDACI IMPRESE"

Parte 2 di 18 : “Le donne”

Fra le donne racconterò qui principalmente di coloro alle quali ho avuto la fortuna di accostarmi su un piano di autenticità e di parità, senza dovermi abbassare, legato con le mani dietro la schiena come i romani sconfitti, a passare sotto quelle “forche caudine” sotto cui (senza bisogno di aver perso prima alcuna battaglia), in un modo o nell’altro, si chinano, volenti o nolenti, in occidente tutti i maschi, consapevoli o meno, in cerca del cosiddetto “free”, alla prostituzione psichica del “forse che sì, forse che no”, al dovere di parlare per compiacere e di inventare per sorprendere, al costume del simulare (per “guadagnare punti”) e del dissimulare (per non essere “scartato a priori”), all’obbligo di “impostare una strategia” per la cosiddetta “conquista” (la quale sistematicamente uccide ogni spontaneità e fa vivere ogni parola, ogni atto, ogni sguardo, ogni invito, ogni silenzio di un secondo fine, di un sotterraneo significato diverso da quanto appare), all’accettazione di quella tensione da esame tipica della situazione asimmetrica nella quale la controparte, dall’alto del piedistallo della bellezza (quando manca, vi supplisce l’illusione generata dal desiderio, se non dovesse bastare l’unica delle convenzioni sociali fra i generi che il femminismo si è ben guardato dal contestare) può già rilassarsi, valutare con calma e scegliere se divertirsi “con noi” o “contro di noi”. Parlerò insomma innanzitutto solo di quelle donne che non ho dovuto o voluto in alcun modo “corteggiare” (le altre vanno sotto la voce “cortesie”). Certo non c’è stato innamoramento fra noi (ma, del resto, non c’è stato nemmeno con le “corteggiate”). Se però sono ancora ricordate dopo tanti anni significa che, nel casuale turbinio della vita, non mi sono state completamente trasparenti (né io, credo, sono stato trasparente a loro).

Facciamole girare, per una volta, come fossero su una passerella (anche se, eccetto la prima, non credo abbiano mai fatto le modelle), sulle note immaginate di quel “Le Tourbillon De La Vie“ che Jeanne Moreau canta in “Jules e Jim” di Truffaut”: esse che oggi come me sono a cavallo degli anta non potranno rammaricarsi di essere ricordate quando di anni ne avevano più o meno la metà ed erano nel fiore di una vita che auguro a tutte essere serena.

"Le donne: la modella russa di Parigi"

La prima donna di cui devo raccontare, è ovviamente colei che per prima è stata mia carnalmente (anche se, come detto, in maniera incompleta) e di cui anche in questo racconto, come in quello del monaco Adso, non si sa neppure il nome. La identificheremo quindi con quel famoso “centone” petrarchesco che simboleggia l’intera poesia di un personaggio centrale della letteratura rinascimentale quale Pietro Bembo:

“Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura,
ch'a l'aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che 'l sole,
da far giorno seren la notte oscura,

riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond'escono parole
sì dolci, ch'altro ben l'alma non vòle,
man d'avorio, che i cor distringe e fura,

cantar, che sembra d'armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,

giunta a somma beltà somma onestade,
fur l'esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch'a poche il ciel largo destina.”

Un centone è notoriamente un componimento costituito da versi presi da un altro poeta e riordinati originariamente: quasi un anagramma letterario. Per la plebe, la parola richiamerebbe un biglietto da cento euro (o da vecchie centomila lire). A me, come si vedrà, costò due milioni (delle vecchie lire). I capelli dorati e la pelle ambrata c’erano anche nel mio caso, così come gli occhi chiari. Non essendo riuscito a farla ridere (anche se di motivi per ridere, come vedremo, ce ne sarebbero stato parecchi) non so se il suono delle sue risa avrebbe raddolcito ogni mio dolore. Le sue parole (in Inglese) sono sempre state stringate come quelle di chiunque voglia chiudere in fretta un affare. E difatti ci siamo pure stretti la mano. Non essendo scappata con i soldi deduco fosse anche onesta. Di armonie divine e di leggiadria però, ad onor del vero, non ho percepito la presenza. Ma forse solo perché ero ancora, letteralmente, “immaturo”. Mi ha invece sempre dato l’aria dell’uomo maturo, dalla voce bassa e calma, come quella del mio prof d’Italiano, l’autore del centone (che nella vita, oltre ad essere cardinale, è stato anche direttore della biblioteca marciana). Petrarchesco non solo nell’ispirazione, ma pure nella convinzione, il nostro Cardinale veneziano. Non si limitò a comporre sonetti con perfetto andamento bimembre, scelte lessicali davvero “pure e rarefatte” e suoni e immagini tratti direttamente dai rerum vulgarium fragmenta. Arrivò a teorizzare il modello ideale di lingua italiana nel celeberrimo trattato “prose della volgar lingua”, nel quale la doppia scelta “Petrarca in poesia, Boccaccio in prosa” divenne la regola per i secoli a venire (ed è ancora regola per chi vi scrive, dato che, se devo comporre dediche in versi ad una donna, uso quasi sempre il metro del sonetto, mentre, quando compongo prosa, ricalco l’ampio periodare del Latino ispirandomi alle lunghe e armoniose frasi del decamerone ricche di subordinate: scrivere per me in Inglese, con le frasi brevi e semplici proprie di quella lingua è per me una grande forzatura).

Non poteva, il cardinale, sapere che il suo modello di donna ripreso dal Petrarca avrebbe guidato la ricerca di gnocca per la prima scopata di un maturando in gita scolastica. L’inarrivabile madonna petrarchesco-stilnovista, tanto alta da poter essere soltanto guardata dal basso verso l’alto (come la luna) o sognata ad occhi aperti quando passa per via, e tanto bionda da rendere l’idea del sole che splende sulle messi al vento, o dell’angelo magnifico sceso da cielo in terra “a miracol mostrare”, non può, nel mondo contemporaneo, che trovare personificazione nelle modelle. Medesimi sono l’effetto di attrazione sui mortali e di rischiaramento sul resto del creato (“fa tremar di chiaritate l’aere/ e mena seco amor/ sì che parlare null’omo pote ma ciascun sospira”) e medesimo è il senso di lontananza dal campo del possibile percepito da chi le vede sfilare in televisione.

Come era dunque possibile trovare una modella alta un metro e ottanta, biondo platino, “occhi di cielo” (come dice il giovane innamorato dell’attimo fuggente) e con le misure perfette 90-60-90? Avevamo l’arma informatica. Un modem a 56k e un amico che aveva nome Lorenzo (come, appunto, il Magnifico) mi misero in contatto con siti antesignani di gnoccatravel. Non esisteva ancora nemmeno il motore di ricerca di google, al tempo. Non so come facemmo a scovare da qualche parte nella rete, rigorosamente in slang americano, un post in cui veniva per filo e per segno descritta la “scena pay” della Parigi di fine anni Novanta. Un’enciclopedia che partiva dal livello “chip and dirty” e finiva in quello “top class”, dove i prezzi erano bollati come “unacceptable”. Si favoleggiava di un locale chiamato “Le Baron”, dove i miliardari entravano per incontrare vere modelle. Con l’equivalente di un milione di vecchie lire era possibile “sdebitarsi” con il locale e uscire con una ragazza, la quale poi, accompagnata in un hotel a quattro o cinque stelle, chiedeva altrettanto per i propri favori. Avevo quindi preparato una busta con due milioni di vecchie lire. Il mio amico invece non preparò nulla perché diceva di voler puntare al “chip and dirty” con una stradale (cosa che poi non fece, preferendo anch’egli vedere l’avventura top anche se solo come spettatore dell’incontro).

La parte più difficile della preparazione fu trovare il modo di soddisfare il “dress code” del locale. Matteo, il capoclasse tuttologo, sosteneva che bastasse un maglione elegante “con il collo a V”, ma io volevo un vestito di gala. Così ricorsi al gusto e all’esperienza di mia madre ed al finanziamento di mio padre. Dopo vent’anni, conservo ancora da qualche parte nell’armadio “il completo di Parigi”. Il dettaglio più critico furono le scarpe: non ero affatto abituati a camminare con delle scarpe in cuoio nuove di quell’elegantissimo genere e scivolavo terribilmente ad ogni passo. Decidemmo di rilassare il requisito dell’eleganza “incidendo” artigianalmente la suola per scivolare meno (un po’ come nei tempi eroici delle corse quando, con la pioggia, le slick venivano intagliate a mano per ottenere delle semislick ante-litteram). Partimmo di domenica sera dalla stazione (ed era la domenica in cui mi ero alzato alle 3 di mattina per vedere il GP d’Austrialia dello scambio di favori Hakkinen-Coulthard su Mclaren-Mercedes: era il primo GP della prima stagione in cui vennero guarda caso imposte le “gomme scanalate” in F1, assieme alle carreggiate ristrette). In treno i “cari compagni” non mi fecero chiudere occhio un momento. All’arrivo a Parigi ero distrutto e dispiaciuto per non poter dormire (bisognava iniziare a visitare la città). Mi ricordo solo che ci portarono in un padiglione in cui si visionava un filmato dove ad un certo punto appariva Mario Andretti con il figlio Micheal quando correvano assieme in F. Indy (si vedevano alcune scene da un triovale e l'immancabile immagine del podio con padre e figlio a Nazareth).

Finalmente venne ancora sera e mi riposai. La giornata (anzi, la sera) successiva era quello destinata all’impresa. Con un gruppo scelto di “cavalieri” partii per l’impresa. Eravamo troppi per prendere un taxi e troppo lontani per andare a piedi. Optammo per la metropolitana. Mi ricorderò sempre la scena nel vagone della metro nella quale, dovendo “proteggere” il tesoro che avrei dovuto consegnare alla mia bella, mi muovevo circospetto, circondato dagli amici che si atteggiavano a guardie del corpo di un magnate russo. Scene da 007 “fai da te” no Alpitour. Se ci fosse stato per caso un ladro vero, ci avrebbe beccati subito. Ed io con quelle scarpe con cui, nonostante gli intagli, continuavo a scivolare ad ogni spostamento! Finalmente giungemmo davanti al mitico Le Baron. Subito un via vai di limousine e di auto di lusso (del genere Mercedes Classe S dell’incidente di Lady D. che era avvenuto da meno di un anno) che eravamo capitati nel posto giusto. “This is not a discoteque! Silence! Musique! This is a club! High Class Club. Very high price!” Ci ammonì preventivamente il proprietario giapponese evidentemente preoccupato per l’arrivo di una decina di baldi giovanotti di poco maggiorenni (per fortuna, proprio a causa della gita scolastica, avevamo tutti fatto le carte d’identità valide per l’espatrio per dimostrarlo). Il più smargiasso di noi, l’epico Filippo, se ne uscì con un memorabile “Don’t worry, we are very rich. We don’t care about price….”. Quel “we don’t care” diventò un tormentone per gli anni a venire.

Entrando, passammo accanto ad una modella giapponese, con i capelli tagliati a caschetto, che pareva disegnata da un autore di manga, tanto era sensuale. Si vedeva che non la (allora ancora “cafona”) mafia russa, ma la raffinata “Jakuza” gestiva il locale. I commenti si sprecarono. Qualcuno di noi ebbe quasi uno svenimento. Ma il mio obiettivo erano le madonne bionde. Ci sedemmo e ordinammo da bere. Lorenzo e Davide iniziarono il giro di perlustrazione delle tipe. Poi mi vennero a riferire: “abbiamo individuato l’obiettivo, adesso viene a sedersi qua, tu stai fermo e tranquillo, se inizia ad accarezzarti non ti spaventare”. Mi credevano più agitato di quanto fossi. Venne in effetti una stangona bionda da copertina (ma non da copertina di giornalaccio porno da edicola, da copertina di un Cosmopolitan o di un settimanale “serio”, o addirittura politico, quando, per attirare nuovi lettori, punta sullo stupore suscitato da una bellezza fuori dall’ordinario e sull’eleganza delle forme femminili) che si sedette proprio accanto a me. Poteva essere una versione ancora “migliorata” di Valeria Mazza (da ventenne), ma con uno sguardo meno cerbiatto, degli occhi più grandi e ancora più pieni di splendore. Con le membra scolpite, i lunghi capelli ondeggianti davvero come neve trasportata dal vento le sue forme perfette di modella avvolte nell’aderente e cortissimo vestito bianco (ancora!), pareva veramente una statua a cui gli dei, commossi, avessero voluto donare la parola e l’anima. “How are you…” e i soliti convenevoli.

Per fare conversazione, i miei amici le chiesero l’età, cosa che sconvolse la mia educazione di allora (mia madre mi aveva sempre ripetuto che alle signore non si chiede mai, e lei stessa evitava quando possibile di presentare documenti dove la sua data fosse indicata), ma non l’interessata. A 24 anni se lo poteva permettere. Anche se, per un diciottenne come me, era una “grande età”, un’età cioè in cui le donne possono già raggiungere il culmine della loro bellezza e compiere “l’ideale” per cui sono desiderate da tutti i garzoncelli (in misura maggiore di quanto non lo sia la femminilità ancora in qualche modo acerba delle coetanee). Desiderare ragazze “più grandi” di me era sempre stata una costante per me, parte del mio volere ad ogni costo la perfezione, a costo anche dell’irraggiungibilità. Nessuno di quelli che conoscessi stava infatti con una ragazza più grande, e sicuramente nessuno con una bellezza simile (non era ancora scoppiata la moda dei baby calciatori con le showgirls affermate).

Ora la donna esteticamente ideale e socialmente irraggiungibile mi era seduta accanto, sullo stesso divanetto. Così vicino che mentre parlavo non potevo evitare di scivolare con lo sguardo sulle sue due rotondità del petto, contenute nel candido vestito come pompelmi in una cesta, come “pesche intatte”, come bianche nuvole che si sprigionano lentamente verso l’alto (“nube lattea che la montagna esprime dalle sue mamme delicate”, avrebbe detto D’Annunzio nel Novilunio di Settembre). Per non delirare distolsi lo sguardo che però finii sulle sue gambe, che teneva leggermente accavallate e che, dato il minivestito, non lasciavano molto all’immaginazione. La perfezione, del resto, non ammette commenti. Da quella volta mi resi conto che quando si dice “gambe da modella” non si produce un banale “sintagma stereotipato”, ma si compie una classificazione con un preciso riscontro nella realtà. Anche senza ancora poterle accarezzare, provavo già la sensazione della morbida sabbia indorata dal sole e lisciata dall’onda. Era, ella, piuttosto abbronzata per essere un tipo slavo.

Quando le chiesi da dove venisse e mi rispose “I’m Russian”, io, suggestionato da Keats e dalla sua “Ode to a Grecian Urn”, capì “I’m Grecian” (senza capire che se fosse stata greca avrebbe detto, nel mondo moderno, “Greek”) e iniziai con la lode alla bellezza classica. Quando capii di dover parlare di Russia, capii di essere in difficoltà, perché la scuola italiana (complice il “manzonianesimo” giustamente criticato da quel personaggio di prof interpretato da Silvio Orlando) non mi aveva ancora permesso di entrare in contatto con i grandi autori russi (avrei avuto bisogno di incontrare, molti anni dopo, una ex-modella ed ex-escort per essere introdotto a Bulgakov e a Tolstoj, ma questa è un’altra storia). Per fortuna non ce ne fu bisogno. Si mise pure a parlare un po’ di Italiano (la fame di gnocca dei nostri connazionali faceva miracoli, e, unita al poter d’acquisto e al benessere che avevamo quando ancora la Banca d’Italia stampava le mai abbastanza rimpiante Lire, poteva più del Manzoni diffondere la tosca favella nel mondo) per dirmi che “puoi uscire con una ragazza, ma devi prima ordinare una bottiglia di champagne”. Mai uomo più felice di cantare “cameriere, champagne!”. Cos’era il vile, strisciante e frusciante denaro al confronto con l’alta e statuaria bellezza? Il problema era però l’inflazione.

Da quando il reporter gnoccatravel ante litteram aveva postato la sua guida sul web era passato evidentemente qualche mese (se non un anno) ed i prezzi del locale erano sensibilmente aumentati. “Ragazzi, qui si rischia di finire la serata a lavare i piatti per i giapponesi”. Si organizzò quindi una colletta per me, come in ogni commedia italiana di rispetto. Con la nuova iniezione di denaro, che teneva conto del costo combinato di bottiglia, hotel di lusso ed escort top, potei finalmente alzarmi dal divano tenendo per mano il mio sogno estetico. Lorenzo chiese ed ottenne di poter dare almeno un bacio sulla guancia alla mia modella-escort. Davide si limitò invece a dirmi nell’orecchio “Zio c….. chiavala tutta”.

Io non mi preoccupavo, perché vivevo ancora nell’illusione che tutte le difficoltà fossero nell’approvvigionamento della gnocca e che una volta in camera con lei la massima bellezza avrebbe anche provveduto al massimo piacere. Usciti dal locale, ella divenne più spigliata, e mi chiese qualcosa della mia vita e dei miei hobby. “Oh do you like cars, and what cars do you have”. “A race car”, risposi, pensando alla mia Williams. Ma ella, evidentemente pensando ai soldi, capì dal mio inglese scolastico “a rich car”. Il dialogo fra noi non iniziava nel più comunicativo dei modi. Arrivati in hotel, il cameriere dalla reception (complice e corrotto) mi sorrise dicendo “a special price for you”. E per fortuna! Era praticamente il doppio di un hotel a quattro stelle normale. Dettagli. Una volta in camera, la mia bella andò a farsi la doccia (non sapevo ancora che quello schema comportamentale femminil-professionistico avrebbe segnato praticamente tutti i miei incontri amorosi: credevo ancora che, come nei film, appena entrati iniziassero i furori erotici con tanto di urla animali e vestiti volanti). Io, rimasto solo davanti allo specchio (“put down your clothes in the meantime”, mi aveva detto) facevo gesti di esultanza per sottolineare la storicità del momento. Tutto quello che per anni avevo sognato e desiderato si stava avverando. La più bella fra le belle fra le mie braccia. Ah, magia del denaro! Al diavolo il moralismo perbenista (mi pareva di sfidare le leggi borghesi andando a puttane, anche se all’epoca la crociata antiprostituzione non era forte come oggi, ma, si sa, chi voglia il piacere deve avere una resistenza da vincere).

Non avevo fatto i conti con la più debole ma pur presente realtà della carne. Se fossi stato un lettore di quelli che all’epoca si chiamavano “carnacci” avrei forse avuto qualche punto di riferimento. Ma io mi ero formato solo su romanzi francesi e liriche stilnoviste. Persino le attività autoerotiche erano stilizzate: fantasia su immagini di modelle che fra le pagine delle riviste di auto o di quelle di moda (piratate dai primi “spacciatori” di gnocca via floppy) mettevano sì ben in vista gambe e seni, ma non erano mai completamente nude (al massimo in bikini) e comunque mai in atto sessuale.
Fu così che quando la modella reale, uscita dalla doccia, si mise nella posizione volgarmente detta “pecorina” uscì anche totalmente dal mio immaginario erotico. Di più: così acquattata a quattro zampe e protesa in avanti come volesse defecare mi fece sentire un Fantozzi. “Fuck me”. Mi disse “Co-co-come?” pensai parlando fantozzianamente. “You don’t like this position”. E allora si sdraiò in avanti a gambe aperte. “Fuck me”. “But, I don’t know where is it!” Non sapevo neanche che si dicesse “pussy”. Pietosa, si girò verso di me mettendosi nella posizione volgarmente nota come “smorzacandela” ed inizio ella a fottermi.

“Ma come ti fotteva, così o così” – mi chiese a questo proposito Lorenzo quando, assieme agli altri “cavalieri” che mi avevano accompagnato al locale, stavamo tutti assieme ricostruendo “l’incidente probatorio” con il quale dovevo “provare” a tutti il fatto di aver finalmente compiuto la prima scopata della mia vita. Dovetti poi raccontare come, nonostante tutti gli sforzi, forse perché improvvisamente impaurito dall’ipotesi di essere scoperto dai prof, forse perché intimorito da un insieme di manovre (fra creme e preservativi vari) che mi parevano un’operazione asettica e odorante di plastica, non fossi riuscito a raggiungere il culmine del piacere. “Non sei venuto?” Mi aveva detto quando mi aveva sentito smettere di assecondare i suoi movimenti “Perché non sei venuto”. “Se non vieni adesso non vieni più”. Strano che la modella straniera con cui avevo dialogato solo in Inglese fuori dalla camera, appena sul letto avesse magicamente “switchato” in un Italiano degno di Pietro Aretino. Che sia davvero la nostra lingua quella dell’Eros “par excellence” (alla faccia dei cugini francesi)? O, semplicemente, sono (anzi probabilmente erano) gli Italiani i clienti per eccellenza delle modelle disposte a concedere le proprie grazie per denaro.

Ad ogni modo, dovetti in qualche modo giustificare la mia (di solito, non uso francesismi, ma qui eravamo davvero in Francia…) “défaillance”. L’ipotesi di tacerla e raccontare al posto della realtà travagliata un’impresa liscia e stereotipata da fumetto porno (come avrebbe fatto un qualunque coetaneo sostenitore del mito del “trombatore”) non mi era neppure passata per la testa. Fu il tipico momento in cui un pizzico di ingenuità in meno nell’intimo mi avrebbe risparmiato tantissimi sfottò pubblici negli anni a venire. Forse avrebbe anche cambiato il mio modo di approcciarmi alle ragazze, di avere fiducia nelle mie doti amatorie e non solo, di ricercare l’amore stesso. O forse no, perché magari i motivi che mi hanno poi trattenuto dal corteggiare (e, soprattutto dal vedere le ragazze dell’ambiente che conoscevo come “papabili”) erano altri (rispetto allo “sputtanamento” – è proprio il caso di dirlo – di questa vicenda), la sfiducia nelle possibilità di conquista motivata da considerazioni numeriche e razionali (basate sulla considerazione di non avere ancora conseguito un’affermazione sociale tale da rendermi degno delle belle da tutti disiate e sulla bassa probabilità di incontrare fra tali rare fanciulle proprio una a cui risultare gradito per motivi intellettivi o sentimentali, piuttosto che sul timore di non essere all’altezza su un piano puramente sessuale), la scelta di praticare la continenza o di rivolgermi al pay decisa (come si vedrà nel prossimo grado di separazione) da attente riflessioni personali e precise motivazioni filosofiche. Rimarrà un dubbio del lettore l’ipotesi che tutto questo abbia, freudianamente, una base puramente sessuale.

Quello che è certa è la mancanza totale di discrezione da parte dei miei compagni di sventura, i quali, dopo essersi fatti raccontare ogni particolare, andarono in giro a sbandierare ai quattro venti che “era morto il mio uccello”. Non nascosi infatti che, dopo l’uso di strani unguenti e del preservativo, non riuscissi più, nemmeno a distanza di ore, ad avere un’erezione (e la cosa proseguì per giorni, per tutto il periodo della gita e in parte anche a casa). “Ecco, questi preservativi ritardanti sono un disastro” – fu il commento tecnico di Paolo, forse l’unico fra noi ad avere una sufficiente esperienza amatoria. “Ma sì, ti dico che, per paura venissi subito come capita a chi è alla prima esperienza, ti ha infilato un ritardante. Solo che tu non ne avevi bisogno.” Le mie giustificazioni erano più psicologiche “quando ho pensato che potevo essere beccato e rischiare di non essere ammesso alla maturità mi sono bloccato”. “Zio c…. che coglione, tanto se ti beccano ti beccano, ti conveniva intanto scopare. Sei proprio un coglione” – commentò spavaldamente Davide. “Io una così alla pecorina non riesco neanche ad immaginarla…” - soggiunse desolato “Ti avevo detto di chiavarla tutta anche per noi….”. “Ma io l’ho chiavata!” mi difesi in estremo. “No, hai solo messo l’uccello in una guaina calda” fu la lapidaria risposta.

Più dunque che nel momento della scopata, plastificata e abortita, preferisco ricordarmi della russa di Parigi nell’attimo del commiato, in cui, con preoccupazione quasi materna, mi diede un dolce bacio sulla guancia raccomandandosi di dire all’autista del taxi di dover arrivare il albergo in non più di dieci minuti. Altrimenti, ella dicea, sarei stato fatto girare a vuoto per la città con l’unico scopo di far incrementare il tassametro.

Beyazid_II
Newbie
08/08/2018 | 23:59

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QUARTO GRADO: DA MARSILIO FICINO A FRIEDRICH NIETZSCHE (1/18)

Ovvero: "LE DONNE, I CAVALLIER, L’ARME, GLI AMORI, LE CORTESIE, l’AUDACI IMPRESE"

Parte 1 di 18 : “Dai cieli bigi/ guardo fumar da mille/ comignoli Parigi!”

Ne uscii come di prigione, librato in aria dalla brama di nuovo, di piacere, di vita. Pensavo al piacere trascorso ma non vissuto, alle fatiche compiute e a quelle da compiere, alla perfezione del piano e al rischio estremo. Rimaneva da pagare il taxi, entrare in albergo sperando che il “complice francese” avesse mantenuto la promessa di non chiudere a chiave il portone, risalire le scale in silenzio e raggiungere l’ultimo piano. E se qualcosa ancora fosse andato storto? Rischiavo cinque anni. Non potevo sfuggire al ribrezzo per le sensazioni provate e alla repulsione innate per certe azioni. Capivo che era crollato un mito: tolto il velo, la bellezza era svanita, l’incerto si era dileguato e tutte le fantasie tutte le vaghe illusioni si erano schiarite e determinate. L’indefinito, al contatto crudo con il reale, era stato limitato dalle contingenze materiali e, così ristretto, era morto soffocato. In quella notte piovosa aveva esalato l’ultimo respiro quella parte di me che aveva sempre sospirato, gemendo, la donna, in simili piogge dopo aver cercato il piacere. E come nell’imminenza della morte ritornano le estreme gioie della vita, così io quella bellezza rimembravo, “ne’ suoni, ne’ colori, ne’ le forme”. Ma quell’odore, quelle luci, quelle forme quasi di statua, così fredda così plastificata, così totalmente disanimata erano un ammonimento costante a non tornare indietro, un cancello sbarrato alle mie spalle, più infuocato del rogo di vascelli incendiati.

Cinque anni. L’intera era liceale. Rischiavo di buttare via i cinque anni più intensi, vissuti e nobili della mia vita. Quelli che si erano indelebilmente scritti in me facendomi diventare per sempre quello che ero. Nel bene e nel male, nel gusto e nelle nevrosi, ma soprattutto nel pensiero. Rischiavo che quei cinque anni non avessero il loro definitivo e giusto coronamento. Rischiavo che mi fosse vietato di presentarmi alla maturità? Rischiavo forse la sospensione? Rischiavo, comunque, che uno degli insegnanti accompagnatori se ne avesse a male incrinandomi il giudizio di presentazione. E per cosa? Per “il gesto”.

Camminavo allora spedito, spinto da un’eccitazione più forte, da un sentimento più puro, reso terso e limpido dalla pioggia, correvo con la mente alla promessa di non smarrirmi mai più nella miseria del falso piacere, di ricercare l’assoluto fuori da ogni passione, di agire libero da ogni costrizione animale, sospinto solo dal desiderio di abbracciare e gustare la varietà delle forme e degli aspetti della vita.

Forse la paura aveva fermato il mio inconscio nel momento estremo del piacere, negandomi l’orgasmo tanto ricercato dalla mia volontà, dal mio corpo, dalle carezze di lei. Forse il timore di mettere a repentaglio tutto per un’irragionevolezza aveva prevalso sul coraggio di vivere, sulla volontà di venire, sulla libertà del rischio. O forse l’amore sessuale non era quello che volevo, non era quello che gli amici, la televisione, il mondo, persino i poeti, mi avevano fatto credere che fosse. Tutti i miei coetanei facevano follie pur di stare con le ragazze (addirittura abbassavano i loro canoni estetici al gusto dell’orrido pur di rimediare una pomiciata o una chiavata). Tutti i film erano animati da protagonisti di ambo i sessi che affrontavano mille peripezia pur di stare insieme, per una notte o per una vita (anche se poi in effetti il regista raramente si occupava di cosa facessero davvero sotto le lenzuola o durante il “vissero felici e contenti”). Non avevo quindi mai dubitato che dovesse essere quello il sommo piacere. “Quanto piace al mondo è breve sogno”, chiosava Petrarca. “Quanto piace al mondo – piuttosto – è una fregatura” parafrasavo io in quel momento (pensando anche a quello che avevo pagato). Tanto lo avevano legato al peccato i predicatori dei tempi di Jacopone, tanto lo aveva condannato lo stesso Dante nel Canto V dell’Inferno (quando egli stesso sviene ricordando di quanto anch’egli aveva vissuto la lussuria), salvo poi usarne i termini durante la stessa “visio dei” (quel “venni” messo là su in Paradiso!), tanto lo aveva rimpianto (senza averlo vissuto?) il Tasso nelle sue Rime umide di pianto e di languore, tanto lo aveva mitizzato (con l’arte e con la vita) il Foscolo dell’Amica Risanata (tanto da farne cagione per tramutare in dee immortali le mortali donne amate dai mortali poeti), tanto lo avevano esaltato i romantici inglesi da Byron a Shelley fino a quelli pronti a morire per esso, tanto lo aveva fatto giungere a perfezione letteraria e poetica il D’Annunzio del Piacere e del Poema Paradisiaco, che io stesso credevo sufficiente trovarmi innanzi all’occasione della “prima volta” per essere rapito dall’estasi. Come riconobbe Omero, “molto mentono gli aedi”.

Uscì da quella stanza un uomo più triste e più saggio (ed avevo appena diciotto anni!), come un carcerato che torna alla vita, desideroso di riconciliarsi con sé, con gli altri, con la natura, con il mondo, anzi, con i mondi. Dicevo fra me, ancora una volta, “incipit vita nova”, intendendo con questo un’esistenza liberata dai piaceri futili, protesa a nuovi universi creati dalla mente e indipendenti dalle costrizioni esterne, rivolta a interessi superiori a quelli comunemente perseguiti dagli uomini (ah, follia adolescenziale: quanto sarebbero stati comunemente umani i miei obiettivi negli anni successivi, “umani, troppo umani!”). Capivo l’inconsistenza di questi desideri, mi ricordavo di quante volte in passato avevo detto lo stesso, dopo un pomeriggio di noia e di inutile ricerca di godimenti, ma questa volta avevo avuto la “prova sperimentale” decisiva. Pure, questa riflessione mi addolciva e mi rallegrava, liberando la mia decisione da qualsiasi ombra amara e lacrimosa di pentimento, mentre, seduto sulla vettura, volavo sulle ali della vera libertà, sulle onde di una mente leggera e sgravata dal desiderio opprimente verso nuovi mondi, nuovi orizzonti, nuovi desii, bramoso di fuggire lontano, quasi romito e strano da questo universo meschino.

Meschino perché privo di dio. Microcosmo perché soltanto mondo complesso sì ma tutto sommato meccanicistico e senz’anima. Non più macrocosmo abitato dall’anima come l’interiorità dei poeti che mi avevano parlato d’amore. Nella realtà, non avevo trovato nulla di divino né nel sesso né nella donna.
Non era bastato procurarsi l’occasione sotto forma della più bella e disponibile delle donne immaginabili. Non era bastato trovarsi dinnanzi alla perfezione per essere investito dal piacere.
Non avrei più, per almeno cinque anni, ricercato l’amore a pagamento.
Non provavo né pentimento né colpa. Prima di sperimentare non potevo sapere. E nessun male avevo procurato a quella modella che, uscita dalla doccia, aveva iniziato il nostro romantico incontro con “give me my money”. E se ne era potuta tornare al locale con ben poca fatica amorosa e un piccolo, ridicolo, tentativo di accoppiamento fallito in più. Il male era in me, in termini di crollo del senso della bellezza che aveva ammantato l’irraggiungibile (fino ad allora) figura della donna da amare carnalmente. E tutto il mio mondo che da quella figura centrale per la nostra letteratura, anzi, da quell’atto così temuto e amato da poeti e mistici, si era costruito non crollò, ma si svuotò di valore.

Come in "C'era una volta in America", il disvelamento della verità era avvenuto in una notte di pioggia.

Ma come era potuto succedere che l’universo, così magnifico nella narrazione fiorentina quattrocentesca, così stupefacente negli esiti cinquecenteschi dell’arte, così permeato dalla potenza divina secondo la dottrina neoplatonica che aveva ammantato ogni mia interpretazione del reale, mi apparisse ora così spoglio, così freddo, così vuoto? Evidentemente, in tutto il mio umanesimo, avevo sempre tenuto ferma la massima di quel Sant’Agostino che Dante teneva sempre in saccoccia: “In interiore homine habitat veritas”. Ed ora quella verità (quel “dio”, se vogliamo usare un’espressione impropria ma pregnante di significato) non abitava più lì. Certo, da tempo avevo smesso di credere al dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe (che mi era presto parsa una favola per bambini extraeuropei), a quello “medievale” di Aristotele (nel senso dell’escatologia), al dio morale della tradizione cristiana, a quello moralista e tirannico della tradizione biblica, a quello, insomma, che imponeva i “tu devi-non devi” da schiavo ed usava i preti, i rabbini (e i freudiani) per mistificare il mondo e scambiare i rapporti di causa-effetto con quelli colpa-punizione. Eppure, per quanto tutta umana fosse la costruzione del mondo, delle sue bellezze, delle sue misure, il loro senso ed il loro valore (e pure la loro “eternità”, a dispetto della finitudine della dimensione umana) erano dati da quella fiammella divina che alberga(va) nel cuore dell’uomo (“ad illuminar la sotterranea notte”, avrebbe detto il Foscolo). Per questo e solo per questo l’uomo poteva dirsi, con Ficino e Plotino, “copula mundi” a metà strada fra le bestie e gli dèi. Per questo e solo per questo la Poesia aveva sempre potuto trionfare sul Tempo (come l’Eternità e Dio). Per questo e solo per questo nessuna rete neurale da sola sarebbe stata veramente umana (avevo, almeno fino a quel momento, sempre pensato). Spenta quella fiamma, era spento anche il senso del mondo. Nulla aveva più valore e la bellezza non poteva più splendere. Io avevo visitato il templio della bellezza, ma la sua dea non abitava più lì.

“Dio è morto”. A me l’annuncio non arrivò di giorno al mercato, come nello Zarathustra, fra una turba di piccoli uomini che sorridono e ammiccano, ma in quel momento solitario nella notte di Parigi, in cui ritornavo in taxi (e per l’ultimo tratto a piedi, per sviare i sospetti di eventuali docenti sonnambuli) all’albergo in cui soggiornava l’intera classe (con i suoi sbadati professori) dopo la mia prima esperienza sessuale. Avevo voluto farne un “evento mondano”, qualcosa da ricordare negli anni a venire come l’ultima memorabile esperienza comune prima della maturità e dell’addio ai banchi di scuola. Doveva essere “l’impresa di Parigi”, qualcosa a metà fra una “rivolta morale giovanile” da “attimo fuggente” (“tutto il piacere ora che siamo giovani, ora che siamo ancora “immaturi”, o mai più”) e una provocazione intellettual-dannunziana degna della belle epoque (“dimostrerò che la mia eccellenza nello studio mi può porre al di sopra delle regole morali”). Avevamo studiato e parlato per mesi su come realizzare la cosa. Avevamo addirittura utilizzato la mia prima pionieristica connessione ad internet (rigorosamente a 56k e solo dopo le 18) per raccogliere informazioni dai turisti stranieri in visita alla capitale francese in cerca di gnocca.
Gli amici e compagni, tutti radunati ad attendermi all’ultimo piano dell’edificio, come in una rivisitazione moderna della Bohème, mi chiesero, quasi in coro: “Allora, allora, racconta…”

A loro raccontai soltanto la parte pornografica (e pure ciò non bastò ad evitare di essere oggetto di scherno per anni). Ai miei due lettori racconterò invece l’origine interiore dell’esperienza e l’esito esteriore tragicomico.

“Vogliamo partire dall'assunzione che la cultura ed il pensiero umanistico-rinascimentali altro non siano se non una proiezione, nel mondo delle idee e dell'arte, di quella particolare e straordinaria realtà sociale e politica costituita dalla civiltà dei liberi Comuni.”

Usava il plurale maiestatis quando esponevo una tesi storico-filosofica. Il professore mi invitò a chiarire meglio il concetto di “Comune”.

“Fatto unico nella storia del medioevo, il Comune, come entità politica, non sorge in seguito a una volontà teologica o filosofica volta a conformare il reale secondo un disegno divino o un modello aprioristico discendente dall'alto e ritenuto sacro e inviolabile, come avvenuto per i potenti ordini religiosi e cavallereschi (improntati appunto al rispetto della "regola" o del "codice" dettati dal fondatore su "ispirazione" divina) o per lo stesso Sacro Romano Impero, ma si organizza dal basso, a partire da una situazione di fatto, dalla realtà dei commerci e della crescita economica.”

Il nostro “Averroè” emiliano-romagnolo, notò che stavo vedendo l’umanesimo come strumentale all’ideologia politica delle città-stato (comunali prima e signorili poi) in chiave di emancipazione dalla Chiesa.

“La sua legittimazione, dunque, assieme alla sua dignità di fronte alla storia, ed in ultima analisi alla giustificazione del suo stesso potere presso i contemporanei, non può derivare dai "due soli" del medioevo, il Papato e L'Impero, non può essere attesa discendere dal cielo, ma deve essere costruita dagli uomini.
E' dunque naturale che la forma mentis degli individui avvezzi a vivere sotto una tale inusuale organizzazione di potere politico, non voluta in principio né da una bolla papale né da un bando dell'impero, si vada infine improntando al naturalismo pagano, alla nobilitazione di ogni attività propriamente umana, all'indagine razionale sulla natura, al libero dibattito filosofico e religioso, alla visione disincantata della realtà, al rapporto pragmatico ma rigoroso con il sapere e le scienze umanistiche, all’ammirazione per gli antichi, siano essi filosofi, condottieri o poeti, in quanto non subordinati, nel loro agire, nel loro pensare, nel loro concepire la vita, alla concezione dogmatica del medioevo cristiano.”

In parte, in effetti, tornavo ad avvalorare le tesi “illuministe” (o, forse, meglio “positiviste”) del Michelet sulla contrapposizione medioevo-rinascimento in chiave “rivoluzionaria”.

“Una siffatta maniera di vivere e di pensare, diffusasi dal XV secolo a Firenze, a Milano, a Venezia così come nelle Fiandre, nei Paesi Bassi, nella Borgogna, e tanto più rivoluzionaria quanto più in tali zone i traffici commerciali ed il rigoglio economico sono evidenti, non può essere, secondo chi scrive, il mero frutto di un’arbitraria elaborazione teorica di singoli individui, una pietra preziosa caduta dal cielo per infondere la virtù nella rosa della conoscenza, così come avveniva nei poemetti allegorici medioevali, ma deve essere il prodotto culturale, per così dire l’idemsentire, di una intera società. Se è vero che l’arte è la diretta espressione della vita, allora l’Umanesimo e il Rinascimento devono essere creazioni di una civiltà totalmente nuova rispetto agli schemi tipici del medioevo, una civiltà che non può non identificarsi con quella dei comuni nati dagli scambi delle merci e delle idee, affrancatori di fatto degli individui dalle servitù della gleba e progressivi demolitori dell’ordine feudale. Questa civiltà, sorta dal basso, in maniera frammentata e confusa, da assemblee e da patti privati di liberi cittadini fin dagli anni attorno al mille, finisce per produrre, quattro secoli dopo, un mondo nuovo, già consapevole di sé e capace di studiare, comprendere, valutare e respingere quello precedente. Se è vero che, cronologicamente, il Rinascimento si afferma, nella sua massima espressione, all’età della signoria, è altrettanto vero che un movimento artistico, filosofico, intellettuale di tale portata “rivoluzionaria” e di tale forza concettuale deve avere dietro di sé un’elaborazione complessa e plurisecolare, frutto di modi di vivere e di pensare, trasformazioni politiche, condizioni economiche e culturali di chiara rottura con il passato ed in continuo, incessante, creativo quanto contraddittorio divenire.”

Come tutti i veri “stronzi” (sempre detto in maniera bonaria come potrei dire ai miei figli se ne avessi e come lui, lo ricordo ancora, faceva con noi) quel professore era anche molto bravo. Era riuscito con metodo perfettamente “maieutico”, proprio del Platone più degno allievo di Socrate, a fare esprimere da me, noto esponente della “destra storica” (all’interno dell’istituto), di un misto di tradizionalismo (ormai non più cattolico data la deriva sinistrorsa della curia già rilevabile in quegli anni) e di liberalismi patriottico-risorgimentale (commemoravo il 4 novembre) concetti quasi pienamente “hegeliano-marxisti”. Non sapevo che allora non era tanto un Marx a parlare in me (e tanto meno quel ciarlatano di Hegel), bensì un Nietzsche, qualcuno cioè, il quale, senza ridurre la complessità del mondo e dell’uomo all’economia ed alla specie, concepisse la “più che vita” (che pure per lui esiste, tanto da fondare sopra di essa la “morale dei signori”, la lotta all’egalitarismo specista ed il dovere di “generare oltre” in nome della vita ascendente - al fine di rendere “sistematica” la nascita del tipi umano superiore identificato con l’artista rinascimentale - ma che non possiamo più chiamarlo “spirito” per non essere scomunicati dal professore di Basilea) come qualcosa di non dato dall’alto, ma di sorto dal basso. “Restate fedeli alla terra”, avrei molto tempo dopo appreso da Zarathustra.

Allora non potevo capirlo, ma c’era del vero in quanto diceva: anche nel periodo rinascimentale quella “spinta al divino” che si percepisce così forte in un Marsilio Ficino o in un Pico della Mirandola è già svanita quasi del tutto nell’Ariosto e nel Machiavelli, autori delle due principali opere (significativamente messe poi all’indice dalla Controriforma) del Cinquecento. Già il Leon Battista Alberti ed il Brunelleschi, con le loro architetture ed il loro uso della prospettiva, avevano dato un occhio propriamente umano al mondo (abbandonando la pretesa dello slancio verso l’assoluto proprio del gotico medievale), così come del resto i pittori, da Leonardo a Piero della Francesca, che avevano abbandonato la dimensione “bidimensionale” e “puramente simbolica” delle raffigurazioni medievali figlie del bizantinismo.
Anche la “filosofia del martello” (cifra pienamente nietzscheana) poteva (anche se impropriamente) essere vista sottesa al Rinascimento. La prova è nel fatto che in ogni campo non solo dell’arte e della letteratura, ma pure della vita, si ricercò per più di un secolo il modello ideale, come se la realtà fosse appunto un marmo da cui far emergere, per sottrazione, quella forma divinamente perfetta la quale, per usare la celebre immagine di Michelangelo, è già contenuta prima che l’artista vi tolga il superfluo. Il modello ideale di gentiluomo fu scritto nel “Galateo” di Giovanni della Casa (ed ancora oggi informa un modello comportamentale quasi universalmente ammirato ed accettato), il modello ideale di cortigiano fu nell’omonima opera di Baldassar Castiglione (ed anche oggi la “sprezzatura”, che permette di far apparire naturale il risultato di lunghi periodi di studio, abnegazione e sacrificio, è di gran lunga preferita alla “affettazione” che infastidisce e annoia, come ben sanno, ad esempio quel contemporaneo modello di cortigiane che sono le escort top-class). Il modello ideale di uomo politico fu il Principe di Niccolò Machiavelli, il cui acume nel rivedere nelle historiae di Tito Livio (depurati dalle contingenze) quegli elementi immutabili della categoria del politico da applicare anche, con dovizia di esempio, alla storia del suo secolo (tanto da spiegare con spietata lucidità, ad esempio, perché la rombante discesa di Carlo VIII in Italia, sistematica contraddizione di ogni principio seguito dai Romani in situazioni simili, sia sfociata in un clamoroso fiasco: “sbassato uno minore, potenziato uno potente, non chiamati da li provinciali, non messo colonie”) non finisce mai di stupire, così come il disincanto geniale nel riconoscere caratteristiche umane che secoli di astratta morale medievale – tanto di moda anche oggi nel moderno mondo democratico e umanitario - avevano voluto negare (come quando sconcerta il lettore dicendo che si dimentica prima “uno fratello o un padre ammazzato” che non l’esproprio “di uno podere, ed il motivo è presto detto: ognuno ben sa che per lo rivolgimento de li ordini non potrà mai avere resuscitato lo fratello o lo padre, ma e’ potrà ben riavere il podere!”, o quando contraddice le anime belle di ogni epoca sentenziando “è meglio essere temuto che amato, perché nel primo caso, l’uomo è “tenuto ad uno vincolo di obbligo che, per essere la natura degli uomini trista, può essere abbandonato alla prima occasione”, mentre, nel secondo “da una paura di pena che non abbandona mai”). L’apparente contrasto fra la spietatezza razionale della politica e la cavalleresca fantasia delle avventure epiche fa vivere in eterno l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Presentato inizialmente come “gionta” all’Innamorato di Matteo Maria Boiardo, l’opera ariostesca introduce in realtà un ulteriore elemento di rottura con la tradizione puramente “cavalleresca” dell’epica ereditata dal medioevo. Nel Boiardo entra per la prima volta il tema “umanista” dell’ideale di “aristocrazia guerriera” che sta sopra le diverse fazioni religiose in lotta (in un romanzo medievale non sarebbe stato immaginabile avere una scena nella quale l’avversario moro venga “confessato” e convertito in punto di morte dall’eroe cristiano che lo ha sconfitto). Nell’Ariosto a questo si aggiunge l’intenzione, dietro la metafora della selva, piena di insidie non solo per le angeliche fanciulle, della politica così piena di intrighi e menzogne delle corti rinascimentali. Come ha detto un critico più autorevole di me “Il Furioso è la vera commedia umana del Rinascimento”.
E allora lasciamo che i primi due versi dell’opera (“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,/ le cortesie, l’audaci imprese io canto”) guidino il racconto di quella commedia che fu la mia vita per i cinque anni che trascorsero dalla maturità alla laurea (con qualche fuga in avanti verso il presente, quando vi sarò trascinato dal racconto di donne e motori).

Lo zio Friedrich potrebbe essere solo contento nel vedere la filosofia di un suo discepolo (postumo di più di un secolo) raccontata non con il linguaggio della teoria ma con quello della vita (e per giunta scandita dal ritmo del poema simbolo del periodo rinascimentale).

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 20:00

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@ledonneamanolepalle said:
@Beyazid_II siamo noi a dare il potere alle donne, la domanda fa il mercato.

Finche' ci saranno gli idioti e gli arrapati disposti a zerbinare, queste potranno permettersi questi atteggiamenti.

No, no, no, purtroppo non siamo noi a dare il potere alle donne. E’ la Natura. E’ questo il problema principale che non sappiamo o non vogliamo ammettere.
Ho aperto un 3D apposito per cercare di mostrare questa dimensione “metafisica” (in senso Schopenhaueriano) dell’amore sessuale. Per l’ultima volta, partecipo con questo post ad una discussione (sono allo stremo delle forze psichiche su certi argomenti che mi coinvolgono anche emotivamente e ho già perso a battibeccare qui tanto tempo che avrei dovuto dedicare al lavoro). Poi non vi disturberò più (rimarrò confinato ai miei due 3D, perché sono stanco di ripetere come un disco rotto le stesse cose e sentire sempre le stesse obiezioni). Chi vorrà dialogare lo farà lì o in privato.

Dico solo questo: dieci anni fa, su forum “escortistici”, non vi era consapevolezza maschile e il 99 percento degli interventi erano di spasimanti delle escort oppure di vecchi cavalieri ovvero di sciocchi progressisti filo-femministi (gente, cioè, accumunata dalla retorica della donna, dell’amore, del progresso). Oggi pare che, per fortuna, i rapporti si siano invertiti, fra uomini consapevoli e uomini retorici. Resta però un ultimo passo da fare fra la consapevolezza della difficile situazione che viviamo nella sfera sessuale e l’intima persuasione di quanto profonde siano le sue radici (e quindi di quanto radicali debbano essere i rimedi).

IL POTERE DELLE DONNE DERIVA DALLA NATURA…

Sebbene certe “teorie gender” (esse sì, antiscientifiche, in quanto negatrici della dimostrabilissima distinzione biologica fra i sessi) vogliano far credere il contrario, il naturale desiderio dell’uomo per il corpo della donna è natura, non cultura. Anzi, è una delle poche variabili umane a non poter mutare per contratto sociale, uno dei pochi esempi di “valore umano universale” (ovvero accumunante i popoli più diversi alle più diverse latitudini). E’ quanto di più profondo e vero (o vogliamo dire “autentico”?) esista al mondo.

Se vogliamo ragionare in termini profondi e reali (ovvero basati sui fatti della biologia, e non sulle costruzioni "intellettuali" di antropologia, psicologica e affini,), dobbiamo considerare la natura, nella quale, in quanto più conta per la vita (e, tramite lo schopenhaueriano "genio della specie", orienta scelte, desideri e comportamenti anche l'autocoscienza del singolo si illude di "valutare razionalmente" o di "divertirsi"), ovvero la riproduzione, al genere femminile è concesso il ruolo (da un certo punto di vista preminente o comunque privilegiato) di selezione della vita (attirare tutti per scegliere fra i tanti chi mostra eccellenza nelle doti qualificanti la specie e quindi conferenti primato e prestigio sociali, giacché più utili al nascituro e alla stirpe) e a quello maschile quello (assai più faticoso e spesso ingrato) di massima propagazione di essa (tramite il desiderio e la competizione) e quindi rilevare come la donna, in quanto soggetto disiato, goda del privilegio di natura (e quindi ANCHE di cultura) di essere dal mondo apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo in sé e per sé, per la sua grazia, la sua leggiadria, la sua essenza mondana (quando manca la bellezza, vi supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di compiere imprese (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse restano puro nulla) o di mostrare necessariamente altre doti, poiché l'uomo la desidera primieramente per la bellezza. Al contrario, poiché la donna vuole selezionare fra i tanti che la desiderano colui che "eccelle", l'uomo è costretto a mostrare un certo valore, a faticare, a competere, a raggiungere una certa posizione socio-economica o anche culturale e di prestigio, giacché il concetto di "eccellenza", trasposto nel mondo umano, non ha valenza soltanto estetica, ma si ammanta di una sfaccettata serie di significati ed implica conseguentemente per l'uomo un'altrettanto variegata serie di "imprese da compiere".
Se non vi riesce, rimane un puro nulla e non solo non ha alcuna speranza d'esser degnato d'uno sguardo dalle donne, ma risulta completamente trasparente per tutta la società (giacché non può esercitare nel mondo quell'influenza indiretta sugli uomini e sulle cose per tramite di quanto in essi è di più profondo e irrazionale, quell'influsso sui pensieri e sulle azioni che per disparità di desideri ed inclinazioni sentimentali è proprio della donna).

Chi non riesce a raggiungere una certa posizione di preminenza o prestigio nella società o comunque a mostrare eccellenza in doti immediatamente evidenti a tutti ed oggettivamente apprezzate dal mondo, non potrà mai star di paro a chi gode per natura e cultura del privilegio essere mirata dal mondo, apprezzata dalle genti, accettata dalla società e disiata da tutti al primo sguardo in sé e per sé. Davanti alla bella donna resterà sempre e solo un "uomo episodico", uno specchio su cui provare l'avvenenza o un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione sessuale o meno, qualsiasi tensione emotiva, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi riduzione al nulla, qualsiasi inflizione di sofferenza del corpo o della psiche, di inappagamento fisico e mentale degenerante in ossessione, di disagio da sessuale ad esistenziale), un attore costretto a compiacere con recite da dongiovanni la vanagloria femminile o un giullare cui irridere nel disio, uno fra i tanti pronti a dare tutto in pensieri, parole e opere (per non dire dignità, recite, offerte materiali e morali e sopportazioni di patimenti e inappagamenti) in cambio della sola speranza, un cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, un orante che miri dal basso verso l'alto chi in maniera imperscrutabile può decidere del suo paradiso e del suo inferno, un mendicante alla corte dei miracoli che attende di ricevere ciò di cui sente bisogno. La sua vita sarà sempre e solo un susseguirsi di tensioni psicologiche, sofferenze emotive, godimenti sperati e patimenti ottenuti, amori sospirati e inganni subiti, paradisi sognati e inferni vissuti, promesse implicite e negazioni esplicite, bellezze vagheggiate e speranze deluse, tirannie potenziali e reali, inappagamenti fisici e mentali, umiliazioni pubbliche e private, sofferenze costanti nel corpo e nella psiche, disagi d'ogni genere e sempiterne frustrazioni d'ogni disio.

Non incolpiamoci per questo. Smettiamo di dare la colpa agli uomini anche di questo! Sembriamo quei maschipentiti che appoggiano “me too” scusandosi persino per essersi in qualche modo adirati con chi ha stronzeggiato sessualmente su di loro, o per aver fatto sentire in colpa la fanciulla di turno che, per interesse economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza erotica, li ha sollevati nell’illusione della concessione di un paradiso solo per il gusto di piombarli nell’inferno della delusione. Le donne fanno le stronze e la colpa è sempre nostra?!
Basta prenderci la colpa.
Iniziamo piuttosto con il prendere delle contromisure.

….NON PUO’ ESSERE COMPENSATO CON INIZIATIVE CULTURALI INDIVIDUALI O ESTEMPORANEE…

Io sono stato il primo a pensarla come voi e a dire semplicemente: “sciopero del corteggiamento”. E’ da venti anni che mi rifiuto anche solo di chiamare per primo una ragazza per invitarla ad uscire. E neanche rivolgo complimenti gratuiti, se non per scherno, al fine proprio di evitare di aumentare la loro autostima senza averne un tornaconto, o, peggio, di contribuire alla loro sopravvalutazione estetico-filosofica di cui mi lamento. Ho adottato un vero e proprio integralismo anticavalleresco. Coerentemente con la filosofia della parità, ho sempre detto “se vogliono parità di diritti, devono anche avere parità di doveri in una fase tanto delicata per l’approccio con la sessualità, il sentimento, la felicità”. E sono stato inflessibile. Il risultato? Nessuno, perché comunque le donne preferiscono scartare a priori anche un ragazzo potenzialmente intelligente e sensibile ai loro occhi piuttosto che rinunciare agli effetti della loro posizione di preminenza nella prima fase dell’approccio. Ho provato anche a pubblicizzare la mia professione di puttaniere, con il dichiarato scopo di mostrare apertamente alle melenzane come esista, per un uomo avveduto e disposto a pagare in contanti, la possibilità di godere della bellezza di fanciulle di bellezza ben più alta e di comportamento meno altezzoso rispetto a loro (spendendo molto meno in termini di tempo, fatiche, illusioni, irrisioni, dolori, umiliazioni, ferimenti, sincerità, dignità, recite e alla fine anche in denaro se si considerano uscite, regali e “bella vita” varia). Non certo per questo hanno abbassato le loro pretese. Non so in quanti abbiano iniziato a comportarsi come me (a giudicare da questo forum, non pochissimi), ma anche se tutti l’avessero fatto, temo non saremmo arrivati a nulla. Non si vince contro la natura.
Una volta una mia amica virtuale biologa scrisse che la donna ha un vantaggio di almeno cinque punti sull’uomo, nel senso che, riferendoci ai “voti estetico/caratteriali/intellettuali”, se uno è un 10, allora potrà anche avere una ragazza da 5 senza corteggiarla troppo, ma se è solo un 8, o si accontenta di uno scorfano da 3, o , per avere anche solo un 6-7, deve sudare sette camicie. Per una ragazza da 8 come lui, deve compiere la 13ma fatica di Ercole (ed essere molto bravo e fortunato). Un uomo da 5, invece, non potrà avere nessuna senza pagare in qualche modo. Dall’altro lato, una donna da 10 è davvero una dea in terra nel senso di poter aver qualunque rapporto con qualunque beneficio da qualunque uomo. Una da 8 potrà farsi corteggiare o “pagare” da tutti gli uomini di livello pari o superiore al suo e neanche guarderà quelli inferiori (tranne che se ha molto bisogno immediato di denaro). Una donna da 6-7 potrà scegliere se avere degli uomini da 10 gratis o se farsi (almeno in qualche modo più o meno figurato) “pagare” da quelli dall’8 in giù. E persino una donna da 5 avrà ammiratori e pretendenti ben oltre la sufficienza senza dover offrire nulla. Ecco dove nasce il potere delle melanzane.

Dite che in Russia è diverso? Ve lo dico io perché è diverso (per ora, ma non so ancora per quanto) in Russia. Nella seconda guerra mondiale la Russia ha subito perdite maschili per 25.000 uomini al giorno. L’armata rossa è stata distrutta cinque volte dalla Wermacht e cinque volte ricostruita prima di poter arrivare a Berlino. Roba degna della Roma dei Fabii contro Annibale (che ha perso nonostante abbia vinto quasi tutte le battaglie, solo perché non è riuscito a far fronte all’infinito alle sempre nuove leve che lo stato romano gli poneva innanzi). Stalin è stato il vero vincitore della guerra, avendo sopportato il maggior costo umano e affrontato il più consistente numero di divisioni tedesche (come sempre Hollywood mente rappresentandoci questi sparatutto alleati che fanno fuori tedeschi a raffica: la realtà dei dati ci dice che, al contrario, è sempre stato il soldato tedesco a mettere mediamente fuori combattimento da 5 a 10 nemici: anche in un fronte da burla come quello Italiano, Kesselrig con due misere armate fatte di ragazzini tedeschi e musicisti tirolesi – come quelli fatti saltare in via Rasella - ha tenuto in scacco gli angloamericani fino praticamente alla fine). Anche se pari ad Hitler per disumanità, Stalin, come noto, è stato trattato coi guanti a Yalta ed il motivo è stato proprio l’aver accettato uno “sterminio di genere” del suo popolo pur di permettere agli angloamericani di battere la Germania. I soldati russi obbedivano ciecamente ad ordini quasi suicidi solo perché avevano più paura dei commissari del popolo che dei nazisti. Ci sono cronache di villaggi in cui, di tutti gli uomini partiti, ne tornavano due, di cui uno gravemente mutilato. Con tali rapporti numerici, chiunque avrebbe saputo costruire una “cultura” in cui le pretese femminili fossero ridotte all’osso.

Fateci caso: i paesi in cui le ragazze “culturalmente” se la tirano di meno sono quelli che hanno avuto il maggiore squilibrio di genere dalle ultime guerre mondiali: la Russa in primis, la Germania in secundis, i paesi dell’est europeo in tertiis. Mentre negli Usa, dove le perdite di “locali” sono state minime, non essendosi mai combattuto a casa loro, vi è il massimo del femminismo e della stronzaggine da esportazione.

Certo, adesso i numeri si sono riequilibrati dappertutto, ma probabilmente certi aspetti “culturali” sono soltanto l’onda lunga di un trauma numerico avvenuto a seguito dell’ultima guerra mondiale “calda”.

Io ho sacrificato praticamente i miei primi quarant’anni (ci sarò fra poco) in questo vano tentativo di far cadere le melanzane “per assedio”. Non sprecate altre vite per questo. Basti la mia.

… MA VA BILANCIATO STUDIO, LAVORO, POSIZIONE SOCIALE, FAMA, RICCHEZZA, (QUINDI “CULTURA” COME POTERE COSTRUITO DALL’UOMO E CAPACE DI AGIRE SOCIALMENTE)

La compensazione di cui parlo è necessaria non solo perché, nel caso peggiore, si potrebbe altrimenti essere vittime ad ogni tentativo di contatto con il mondo femminile di perfidie sessuali, inganni sentimentali e tirannie erotiche d'ogni genere, ma anche perché se non si può offrire alla donna nulla di suo reale interesse, nulla di oggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza (perché una bella donna dovrebbe infatti accontentarsi di quanto ha l'effimera consistenza delle parole e delle emozioni e il valore aleatorio e momentaneo di presunte doti soggettive senza effetto sul mondo?), nulla di cui ella senta lo stesso bisogno e lo stesso desiderio provato dall'uomo per la sua grazie corporali, non si può sperare di instaurare con lei alcun rapporto costruttivo (né quello di un fugace e piacevole incontro né quello di una vita assieme).
Ogni rapporto umano prevede un dare ed un avere e solo gli illusi e distruttori sono convinti del contrario.
Nel mondo capitalista, persa (intendo come dote conferente primato o prestigio sociali) la virtù guerriera del mondo antico e quella poetica del mondo cavalleresco medievale, il mezzo preferito per tale compensazione è ovviamente il denaro, se non altro perchè, qualunque cosa se ne pensi e qualunque sia la propria posizione di accettazione/ostilità verso la società moderna e mercantile, rappresenta attualmente l'unico valore intersoggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza, con il quale essere dunque universalmente mirate, amorosamente disiati e socialmente accettati come le donne lo sono senza sforzo per le loro grazie corporali (le doti strettamente personali e sentimentali , che si mostrano solo con il tempo dato al corteggiamento, al dialogo e all'introspezione reciproca degli animi, non compensano nulla , perchè in un rapporto già esistente sono possedute anche dalla donna , mentre in un rapporto non ancora esistente non hanno il potere di attrarre chi invece possiede doti oggettive ed evidenti a proporre o accettare un incontro non banale, ed essendo di apprezzamento arbitrario, non universale e non immediatamente evidente , non danno mai potere contrattuale , giacchè, mentre con la bellezza una donna sa di poter trovare in qualunque momento altri pretendenti, un uomo, con le sue soli particolari doti di sentimento o intelletto, può trovare un'altra amante solo sperando di incontrare un'altra donna predisposta ad apprezzare proprio quelle doti e di avere l'occasione per disvelarle con calma e spontaneità, lontano dal caos dei fugaci incontri moderni e dalla tensione da esame degli appuntamenti "mirati", in modo da essere in esse apprezzato per il meglio di sè).
Poichè tutto quanto in desiderabilità e influenza sul mondo è necessario e sufficiente per vivere liberi e felici, per poter scegliere liberamente e consapevolmente nelle sfere più rilevanti di fronte alla felicità individuale e alla discendenza, per poter avere forza contrattuale in quanto dà senso all'esistenza di un'anima, alle donne è dato per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale (a lei favorevoli e da lei sfruttate in ogni modo, tempo e luogo senza limiti, né remore né regole, soprattutto nel ruolo di amante e soprattutto di amata) e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre (e dunque al plasmare un'anima come si fa coi fanciulli pur mo' nati, all'intuire in anticipo i desideri e i bisogni, a parlare senza parole e a intendere senza mostrarlo, a vedere quanto alla coscienza altrui è ancora oscuro, a leggere dentro senza esser letta), in virtù della quale l'influenza della donna o sull'uomo, esercitata tramite quanto in lui vi è di più profondo e irrazionale, è molto maggiore di quella inversa (tanto all'interno di quei ruoli ad essi propri per natura e impossibili da cancellare da parte anche della più misogina delle società, quanto in qualsiasi altro rapporto umano), mentre agli uomini può derivare solo dalla conquista di una posizione di primato o prestigio sociale, o comunque dal poter mostrare eccellenza nelle doti riconosciute intersoggettivamente dalla cultura come qualificanti, porre limiti all'affermazione sociale degli uomini, creare difficoltà materiali (vedi azioni positive) o psicologiche (vedi demagogia antimaschile dai banchi di scuola allo stile pubblicitarià) all'emergere di una gran parte di essi o negare addirittura valore a tutto quanto più o meno diffusamente viene ritenuto proprio del maschile, proporre come migliore un mondo, un pensiero, un valutare tutto al femminile, equivale a privare gli uomini della libertà sociale e sessuale, a togliere loro ogni possibilità di scelta in quanto davvero conta nella vita (non intendo tanto lo "scopare" quanto il "sentirsi apprezzati"), a renderli totalmente apolidi, trasparenti per il mondo e negletti dalle donne, potenzialmente tiranneggiati (tramite i bisogni più intimi e da lì in tutto) e sicuramente infelici e inappagati (esistenzialmente prima che sessualmente), fino a far preferire loro la morte al sopravvivere in una condizione di negazione continua dei propri bisogni e della propria natura, di irrisione profonda della parte più vera e ingenua di sé, di umiliazione costante nel sesso ed oltre e, come detto, di frustrazione sempiterna d'ogni disio.

…CHECCHE’ NE DICA IL FRASTUONO FEMMINISTA (CHE CHIAMA SESSISTA LA NATURA E DISCRIMINAZIONE LA COMPENSAZIONE DI UN PRIVILEGIO)…
Le donne-femministe (e a volte pure molti uomini) proprio non riescono (non vogliono?) capire che ciò di cui si lamenta il femminismo è l'effetto non di una discriminazione ma di un privilegio! Del tentativo dell'uomo di compensare con lo studio, il lavoro, la fatica, l'impegno, la posizione sociale, la cultura, la ricchezza, il potere, il merito o la fortuna individuali quanto in desiderabilità reale e influenza sul mondo è dato alle donne dalle disparità di desideri e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri.
Bisogna capire e far capire che se noi uomini avessimo i privilegi naturali femminili, eviteremmo volentieri di cercare per forza un lavoro stressante solo perchè ben retribuito, di sacrificare la vita alla carriera, di finire morti di lavoro (fra le statistiche che tu citi manca furbescamente quella della prevalenza maschile nelle morti sul lavoro) o in galera per aver tentato di raggiungere quella posizione senza al quale rimaniamo negletti dalle donne e socialmente trasparenti! Non è la società ad essere sessista: la natura lo è. La società, se amante di quanto possiamo chiamare "equo vivere", può semplicemente tentare di compensare le disparità naturali, o, meglio, dare agli individui la libertà di compensarle.
E' quello che ha sempre fatto il mondo umano prima dell'avvento del femminismo.
Oggi come ieri la donna ha sempre privilegio di natura d'essere apprezzata, ammirata e desiderata in sé per la bellezza (e, quando non vi è, comunque per l'illusione data dal desiderio). Per naturale compensazione l’uomo ha sempre potuto proporre altre doti per essere simmetricamente apprezzato, a seconda del mondo. Il mondo eroico ed omerico aveva la virtù guerriera, il mondo cavalleresco e cristiano la cultura, il pensiero, le belle arti, la conoscenza, il cor gentile, il mondo capitalista ha il denaro. Forse un futuro (utopico) proporrà finalmente il puro spirito. Il mondo attuale, intanto, con tutti i suoi difetti, ha il denaro. Avrà tutti i difetti ma almeno permette all'uomo di compensare la disparità di desideri (non necessariamente sessuali) e inclinazioni sentimentali con la donna. Non è assurdo. E' invece assurdo un mondo che programmaticamente voglia eliminare le differenze.
E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura).
La donna gode di un privilegio nella sfera, diciamo, erotico-sentimentale, che le deriva direttamente dalla natura. Tale posizione di privilegio (o, se vogliamo, di preminenza) diffonde i propri effetti, direttamente o indirettamente (e in maniera assolutamente indipendente dall'organizzazione sociale, la quale non può, anche volendo, vincere la natura in questo), in ogni aspetto della vita dato che, come mostra Freud, tutto ciò che desideriamo o vogliamo, consciamente o meno, deriva dal profondo degli impulsi sessuali. Di ciò non si può non tenere conto parlando di "parità", sempre che si abbia come fine una parità effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va (o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come "giustizia naturale" (ragionamento tipico delle ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto da certe ecofemministe e da certe donne).
Rousseau credeva ingenuamente tale influenza delle donne (esercitata per mezzo di ciò che nell'uomo è di più profondo e di più irrazionale) un fatto positivo in quanto naturale, ma Leopardi e Schopenhauer hanno ampiamente dimostrato come alla natura poco importi dell'infelicità o della felicità dei singoli individui.
La felicità è un concetto speculativo e infinitamente soggettivo nelle sue possibilità (o, per i pessimisti, illusorio nella sua impossibilità), e non è raggiunto con il puro soddisfacimento del corpo, ma è oggettivamente riscontrabile che laddove non possono essere pienamente appagati i bisogni naturali (fra cui, per l'uomo, quelli di bellezza e di piacere, dei sensi come delle idee), l'essere vivente dotato di autocoscienza è inevitabilmente infelice.
Per questo è disumano non voler concedere all'uomo di poter compensare la situazione svantaggiata di partenza o lamentarsi delle conseguenze macroscopiche di ciò (vedi statistiche sui redditi), ovvero di come a volte l'uomo (non tutti sono imbecilli come sembra) vi riesca con le proprie forze (lavorando e guadagnando di più, sacrificandosi di più nella carriera perché non ha altra scelta).
Se una donna può avere la bellezza per essere apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo, un uomo deve poter acquisire altre doti parimenti oggettive e immediatamente apprezzabili per essere allo stesso modo ammirato e disiato e "pareggiare il rapporto" con la bella donna.
Se ella possiede la bellezza, di cui, sensitivamente e intellettivamente, l'uomo ha naturale ed intimo bisogno e verso cui è mosso da profondo e immortale disio, egli deve possedere e poter offrire a lei altre doti di cui la donna ha pari bisogno e brama e verso le quali è mossa a desiderio con ugual forza.
Ogni rapporto umano, fra uomo e uomo o fra uomo e donna, è fatto, come detto, di dare ed avere (non necessariamente e banalmente in senso economico, ovviamente). Solo gli stolti possono credere il contrario e confidare nella gratuità (la quale non esiste neppure nel sentimento).
I rapporti fra uomo e donna nel regno dei cieli non mi interessano. Io parlo di quanto accade sulla terra. E' raro si incontrino San Francesco e Santa Chiara e poiché l'uomo deve poter godere realmente, di quando in quando, delle bellezze che abitano la terra, deve anche possedere quelle doti in grado di allettare e realisticamente disporre a concedersi le donne vere prima delle sante.
Se non possiede tali doti non ha nulla di concreto da offrire alla donna e da lei disiato e gradito, per cui non potrà sorgere alcun rapporto costruttivo con lei. E l'uomo con ogni probabilità sarà infelice e inappagato sia sensitivamente sia intellettivamente, oltre che mai apprezzato, con conseguenze sia distruttive sia autodistruttive.
Possibile che donne laureate e intelligenti non capiscano queste semplici verità?
Sono gli spermatozoi che devono correre all'ovulo, non viceversa. Non possono essere "rallentati" per "parità". E sono gli animali maschi che devono lottare, inseguire e raggiungere e conquistare l'animale femmina che sta ferma e non ha obblighi. E per correre, inseguire, competere, serve la benzina, la forza, la fiducia. E la benzina, la forza, la fiducia, in un mondo capitalista, risiedono nelle possibilità economiche. Stupido negarlo. E negare dunque che la situazione attuale non sia frutto di una discriminazione, ma del tentativo disperato degli uomini di compensare il naturale privilegio delle donne significa essere ciniche e bare. Oltre che FALSE!

LA NOSTRA COLPA E’ QUELLA DI AVER DISTRUTTO OGNI BILANCIAMENTO

La nostra colpa è, semmai, quella di aver lasciato pian piano distruggere quello che uomini migliori di noi avevano costruito a mo’ di compensazione/freno per tale naturale preminenza (nella sfera erotico-sentimentale e in quella materno-psicologica e da lì in tutto).

Già duemila anni, fa, con l’accettazione del cristianesimo, originariamente completa negazione di tutti quei principi virili e guerrieri sui quali si erano erette le grandi civiltà indoeuropee (la Grecia di Omero e la Roma Repubblicana, ma anche, fuori dall’eurocentrismo, l’India dei Veda e la Persia Iranica) fondatrici di città (e di valori, se sappiamo leggere i miti fondativi in Omero, in Virgilio, nella Baghavad gita e nei poemi persiani, ma anche nell’Edda e nel Beowulf) e distruttrici di oppressione matriarcale, si è avuto il primo colpo (la sovversione dei valori denunciata da Nietzsche nell’Anticristiano: della donna il sacerdote riprende la seduzione – che diventa promessa di vita eterna – la parola obliqua, il veleno sentimentale, la tirannia tramite i sensi di colpa, l’odio o comunque l’incomprensione per ogni etica eroica, il mito dell’uguaglianza originaria, e persino l’abito!).
Poi, duecento anni fa, arrivò la sovversione politica con le rivoluzioni giacobino-liberali. Lì, anche se ancora “maschilista”, con la retorica della lotta alla tirannide dei re, la politica pose le basi per la tirannide femminista: ponendo sullo stesso piano tutti gli uomini con la pretesa di uguaglianza, e l’illusione di democrazia, si causavano un danno etico ed uno pratico. Il primo stava nella negazione di quel principio aristocratico che poneva la fonte di ogni valore (e quindi di ogni diritto) non in quanto accumuna gli uomini nel semplice fatto biologico di essere nati da una donna (fatto che inevitabilmente rende centrale la figura femminile in quanto “matrice cosmica da cui ogni individuo dirama e a cui ritorna dopo un’esistenza effimera”), ma in quanto li distingue fra loro (in quanto davvero conta per la civiltà: visione del mondo, virtù in senso rinascimentale, qualità caratteriali o etiche adatte a posizioni di potenza) e li eleva al più che umano (del volere ad ogni costo “il nobile, il grande l’eroico”, come testimoniavano i vari riti iniziatici con cui si accedeva alla “vera vita” spirituale ed ascendente data dalla società dei padri).
Il secondo nel mettere al potere uomini qualunque, violando la prima condizione per cui una società di uomini può stare in piedi (proprio per motivi inerenti la selezione sessuale, la natura concede al sesso maschile molta più varianza nelle doti: ai cinque sesti di imbecilli che popolano il nostro genere – la percentuale è di Schopenhauer, ma la facilità con cui il femminismo è stato accettato e propagato anche e soprattutto da uomini propenderebbe per farla aumentare – fa da contraltare quel sesto che non solo detiene, per dirla con Dante, tanto “senno” da bilanciare la media di genere, ma contiene pure tutto quel genio in grado di far compiere salti di livello qualitativo alla civiltà, all’arte, alla tecnica). Come qualsiasi ricerca statistica può mettere in evidenza (e come qualcuno ha pure detto dentro google prima di venire licenziato per “maschilismo”), le donne sono effettivamente “più brave”, “più intelligenti” ecc. (se si guarda alla statistica del primo ordine), ma se si pretende l’eccellenza in questa o quella capacità, è più probabile essa sia maschile ed è proprio per permettere l’esistenza di tali rare ma necessarie “perle maschili” che la Natura ha tanto “allargato” la varianza (statistica del secondo ordine) del nostro sesso a costo di avere una massa di “inutili porci” (riprendo la retorica neofemminista, ma chiunque abbia studiato anche solo di sfuggita la distribuzione gaussiana mi capisce al volo).
Una società democratica al maschile non funzionerà mai per definizione o, permetterà sempre di dire alle donne che “siamo inferiori” e loro farebbero meglio. Una società di uomini deve, per quanto detto, essere aristocratica ed avere anche, aggiungo, una componente di “schiavitù” (perché alla massa di mediocri non deve essere concesso di avere tempo e istruzione per inquinare il pensiero e l’arte necessari a mantenere “verso l’alto” la continua e necessaria generazione di vita spirituale).
Il primo femminismo è stato solo il naturale corollario della sovversione politica (e difatti è nato a sinistra), ma ha iniziato a minare le basi pratiche che rendevano vivibile l’esistenza sociale e sessuale di quelle stesse “classi popolari” che si prometteva di “emancipare”. Prima, desiderabilità e potere fra i sessi erano bilanciati in anticipo, e per tutti, rispettivamente, dalla struttura culturale (la quale, ad esempio, proibendo alle giovani ragazze di uscire da sole rendeva desiderabile essere invitate almeno quanto per un coetaneo era la prospettiva di amoreggiare), e da quella sociale (la quale, riservando agli uomini il ruolo di capofamiglia, impediva questi fossero illusi e feriti eroticamente, umiliati e irrisi nel disio, resi zerbini e fatti patire psicosessualmente da fidanzate potenzialmente stronze, le quali avevano però interesse ad ingraziarseli a scopo matrimonio, tiranneggiati sessualmente dalle mogli tramite le disparità di bisogni naturali, o sbranati in senso economico sentimentale da un divorzio che non c’era). Dopo, solo quella minoranza di uomini aventi il merito (o la fortuna) di raggiungere, con lo studio o con il lavoro, una certa posizione di preminenza o prestigio nella società, un certo livello economico-culturale, un certo status di “elite”, ha potuto continuare a riprodurre quello schema attrattivo di compensazione (offrendo, in pay, indipay e free, denaro contante, bella vita o “aurea” di maschio alfa).
Con il femminismo di oggi non si può più neanche sperare individualmente in quello: esso agisce già in retroazione e, laddove vede non verificarsi il politicamente corretto 50 e 50, invoca inesistenti o indimostrabili discriminazioni per avere la scusa di colpire (collettivamente, con le quote rose e le azioni di empowerment, individualmente, con le accuse random) gli uomini che con merito o fortuna, comunque con tempo e fatica, sono riusciti a costruirsi quella posizione di prestigio o preminenza sociale con cui guardar di paro alla bellezza femminile (e quindi goderne senza doversi zerbinare).

Io mi ritengo tollerante, ma solo fino al punto in cui non viene compromessa, oltre alla mia visione del mondo, anche la mia “vivibilità spiccia”.
Pazienza chi è ancora cristiano. Anche nell’era cristiana, grazie a quello spericolato compromesso aquinate che è stato il Cattolicesimo, è stato possibile avere valori aristocratici e virili e strutture sociopolitiche non sovvertite.
Pazienza chi è ancora liberale. Se le persone sono lasciate libere il "riequilibrio" in desiderabilità e potere fra i sessi di cui ho parlato avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti.
Pazienza le femministe ancora libertarie. Finchè con la teoria del libero arbitrio mi si lascia libero di rivolgermi a vari livelli al culto di Venere prostituta, posso anche fregarmene di come diventano le donne (giacché non sono più vincolato a piacere a loro, ad adeguarmi a loro, a compiacerle nel fare e nel dire, a conformarmi a loro per stile di vita e di pensiero solo per godere della loro bellezza, ma mi basta pagare un biglietto per la recita).

Ma nessuna pazienza per quello che stanno facendo le cagne di metoo e del femminismo 2.0 in genere.
Se si pretende di eliminare a posteriori il riequilibrio di cui ho parlato, si compie azione ingiusta e discriminatoria in quanto un'uguaglianza imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista 50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di certe posizioni, di certe carriere, di certi faticosi studi (per essere felici o anche solo socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere sarebbe come, per il puro gusto di "pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare prima.

QUELLO CHE RESTA DA FARE OGGI

A colui che pensa la tirannia delle donne essere tollerabile “perché in fondo la donna è anche madre” bisogna replicare sgolandosi che madre una donna è solo ai propri figli maschi, mentre per tutti gli altri uomini è matrigna con tutta la crudeltà della natura. Basta ricordarsi quella sottospecie di stato di natura che era l’età scolare, in cui non avevamo nulla per compensare la bellezza che già fioriva sulle coetanee ed eravamo quindi dei semplici punching-ball erotico-sentimentali per gli allenamenti della stronze come descritto nei capitoli precedenti.
Si pensi poi alla natura, dove molte specie non hanno compensazioni e lasciano i maschi al loro destino. E’ il caso delle api, dove i fuchi, costretti comunque a inseguire la regina per sperare di riprodursi, sono uccisi da essa dopo l’accoppiamento se vincono, o vengono lasciati morire di fame se perdono. E’ il caso anche degli elefanti, dove, se questi sapessero poetare, ci racconterebbero di pene peggiori di quelle dantesche, vissute continuamente nella continua frustrazione del disio per via del branco matriarcale e nella solitudine dopo la cacciata. Significativamente, donne particolarmente perfide e uomini completamente stupidi giustificherebbero la trasposizione di tale preminenza femminile nell’amore sessuale al mondo umano con la banale argomentazione che “in natura funziona”. Meno perfidia femminile e meno stupidità maschile dovrebbero lasciar comprendere la questione di fondo persa di vista da tale giustificazione: la “natura matrigna” ha a cuore puramente la propagazione e la conservazione della vita, mentre il mondo umano dovrebbe pure preoccuparsi della felicità e della libertà degli individui (fini sconosciuti alla natura), o, almeno, della loro possibilità di vivere “sopportabilmente” (il maggior grado di coscienza rende nell’uomo intollerabili molti mali quotidianamente “sopportati” da altri animali”). Anche senza tirare in ballo motivazioni ”comunitarie a anagogiche“ che richiamino alla capacità di “gettarsi nella storia” da parte di popoli mitologicamente patrilineari (i quali sono prevalsi su quelli, altrettanto mitologicamente, matrilineari, anche quando questi – vedi lo scontro fra Romani ed Etruschi - potevano vantare tecnologie più avanzate, denotando con ciò una superiore coesione sociale, una superiore propensione a dare senso, valore e bellezza all’esistenza, una migliore attitudine, cioè, ad usare la “visione spirituale” per ordinare la società e fare delle invenzioni tecnologiche strumenti per salti di livello qualitativo dell’umano) e che volentieri non tirerei in ballo, se la mia controparte dialettica non allegasse ad ogni più sospinto la propria mitologia “matriarcale” (giungendo, nei casi estremi di “nazifemminismo”, ad esaltare le società “insectidi” e a parlare apertamente di “mondo senza maschi”), è, per chi dà ancora un senso alla parola, una questione di “equità” (intesa non come uguaglianza, ma come bilanciamento di poteri e scelte) fra consimili.
Anche le prime società umane, di matrice matriarcale cara alle femministe, probabilmente erano qualcosa di simile alle società di elefanti: ogni potere materiale e morale era femminile, e in ogni momento il caro “compagno” poteva essere “licenziato” senza possibilità di reintegrazione. Non sappiamo come fosse lo stato degli uomini in quel periodo, ma a giudicare da quanto posso ricordare del primo periodo scolare, ove in qualunque momento potevo essere sgridato per qualunque motivo da donne, a cui spettava a capriccio la definizione di bene e male e che se la potevano avere a male per ogni mia battuta da fanciullo (e quindi ancora necessariamente innocente) non ho alcuna curiosità di scoprirlo (né di sostenere la deriva di leggi e costumi per cui il confine fra lecito e illecito viene sempre meno stabilito oggettivamente a priori e lasciato invece soggettivamente al giudizio ex-post della presunta vittima).

Questi esempi estremi non sono citati per spaventare gli uomini o impietosire le donne, ma per ammonire (del resto, tutte le mostruose figure femminili della mitologia greca erano monito da “monstrum). Per richiamare tutti gli uomini a tornare ad occuparsi dei propri interessi vitali, lasciando da parte concezioni storiche, filosofie morali e politiche, discorsi religiosi o etici, laddove tutto questo ci distragga da (o addirittura si contrapponga a) una vita almeno sopportabile.

Una cosa deve esserci chiara da subito: non ci sarà data da nessuno l’equità, perché a nessuno, fuorché a noi, interessa il nostro destino in termini di felicità e libertà sessuali. Saremo liberi e felici non per volontà divina (e certo non per volontà delle donne), ma solo nella misura in cui sapremo, come singoli (laddove possibile) e come genere (dove necessario) ricostruirci una forza contrattuale, una parità di scelta in quanto davvero conta davanti alla Natura ed alla discendenza.

Soprattutto, dovremo lasciare da parte l’abitudine, la voglia, la moda, l’imperativo morale o sessuale, di ricercare l’approvazione femminile. Ho ben mostrato come gli interessi vitali dei due sessi divergano quanto a condizioni per vivere liberi e felici (perché sono innanzitutto rapporti di forza – la forza è reale - e non d’amore, che è solo un’illusione dataci per propagare la specie). Se avremo approvazione dalle donne, vorrà dire che non staremo facendo i nostri interessi. Viceversa, se saremo maledetti dalle donne, significherà che le nostre azioni avranno iniziato ad essere efficaci. Non dobbiamo incendiare i cuori delle donne, ma tutto quel mondo che le tutela come fossero scimmie sacre del templio di Benhares, rendendole intoccabili e prepotenti quant’altro mai.

Ecco perché i più maturi per cadere sono i residuati della cavalleria. Ve ne sono di tre generi:

  • i vecchi ruderi liberali come il Berlusconi del “le donne sono sempre le più brave” e del “io non ho bisogno di pagare perché mi piace conquistare e a me la danno sempre”, che per raccogliere consenso fra le donne implementava leggi femministe forcaiole sulla prostituzione minorile (di cui è pure rimasto vittima, coglione fra i coglioni) e continuava a parlare, ad agire ed a pensare (fatto pericolosissimo per l’educazione dei giovani) come se fossero ancora in piedi per gli uomini quelle strutture sociali (di cui si è parlato prima, come l’esclusione delle donne dal lavoro prestigioso e il matrimonio non femminista) che “giustificavano” (per equilibrio) la cavalleria in certi ambiti verso le donne (ma senza le quali essere cavalieri significa solo essere molto masochisti o molto stupidi).
  • I maschipentiti o maschi-plurali sempre pronti ad assecondare il pensiero femminil-femminista che ripete la vecchia menzogna delle “donne oppresse per secoli dal patriarcato” e vede come “discriminazione” o “violenza” qualunque atto, gesto, detto, o contratto limiti l’onnipotenza femminea nella sfera erotico-sentimentale (vedi la prostituzione) o la prepotenza matriarcale nella vita (vedi le compensazioni sociali su cui mi sono dilungato)
  • I cavalieri solitari che per “distinguersi dall’italiano medio” prendono sistematicamente la parte delle donne nelle vicende psicosessuali, corroborano la menzogna secondo la quale le donne sarebbero “affascinanti e complesse” (il loro fascino resiste solo finché non le si conosce interiormente, e la loro complessità è frutto delle nostre proiezioni poetiche, mentre si semplifica assai quando si scoprono i loro veri fini) e si vantano delle proprie imprese amorose; tali personaggi, per “cupidigia di vanagloria” (immaginano sempre di avere una pubblico femminile ad applaudire i loro discorsi anche qui sul forum) o per semplice e ingenua sottovalutazione di un pericolo che vedono distante, rimproverano i maschi consapevoli come me di “misoginia” o di “ginofobia”, si fingono maestri di seduzione (cioè, attribuiscono tutti i rischi, le difficoltà e i fallimenti del corteggiamento a presunte incapacità individuali sempre di parte maschile, come se le disparità naturali e le iniquità socio-mediatico-culturali femministe non esistessero) e si sentono tanto altolocati da non poter essere toccati dal nazifemminismo (quando invece la cronaca ce li mostra, prima o poi, cadere uno ad uno nella gogna mediatica e giudiziaria).

Parafrasando i Garibaldini: “Con le budella dell’ultimo cavaliere, impiccheremo l’ultima femminista”.

E anche se non vi ho convinti, iniziate ad essere nietzscheani. Le idee hanno valore solo nella misura in cui aiutano la vita. Un mondo basato sulle idee femministe 2.0 è vivibile? Per me no. E anche per molti qua dentro, a giudicare dallo sconforto, dai commenti, dalle lamentele, neppure. E considerate che l’invivibilità nell’ambito gnocca si estende a tutto, essendo quello alla riproduzione forse il più potente fra gli impulsi della vita. Quindi la guerra a questo genere di femminismo deve essere mortale.
Non ci sarebbe vita per noi in un mondo governato dalle stronzette di hollywood e dalle arpie di me too.

Ogni entità politica, ogni sistema di valori, ogni costruzione culturale, ogni stato, ogni ente nazionale o sovranazionale, persino ogni popolo nel suo complesso, sia in qualche modo fiancheggiatore del nuovo femminismo dovrà, per noi, perire (del resto, in quanto uccisore del principio virile anagogico senza cui non nulla si genera verso l’alto, è, come l’attuale occidente, intrisecamente orizzontale, decadente di per sé, nietzscheanamente, maturo per perire). Inoltre lo si dovrà aiutare in ogni modo a farlo. Qui ed ora essere inesorabili. Qui ed ora essere medici. “Fia delitto la pietà!”.

Beyazid_II
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23/07/2018 | 19:59

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@Tesista76 said:
Amico B, tu sei ad un passo dalla liberazione e flauto indirettamente ti sta dando una mano.

Sei rapito dalla letteratura, dalla cronaca e dalla conoscenza. Tutto questo ti tiene in ostaggio come un astronomo che guarda in un binocolo le galassie. Vero è che è molto meglio saper usare il binocolo per fare delle analisi es avvicinarsi ai corpi celesti, falso è che tutto quello che vedo è un modello universale

Per questo momento, per questo tempo, per questa nazione, per questa cultura, tutto quello che dici è grandemente valorizzabile, cioè si vende bene

Tuttavia se metti le ruote alla sedia al binocolo e vaghi per il mondo tutto cambia e diventa relativo

La galassia che prima non vedevi in un certo emisfero la vedrai su quell’altro, il tempo cambierà l’illuminazione, ma come sai amico mio il tempo corre e non ci è amico

Ed allora spostati, scivola veloce e raccogli quello che il tempo offre

Tutto scorre, rovinosamente solo per chi non ha le ruote

Caro tesista,
non mi pare di essere io, noto relativista, quello che ha la pretesa di partire da presunti “valori universali” (come fa invece proprio la propaganda occidentalista, francese o yankee che sia, sempre dietro agli “Immortali principi” ed ai “diritti umani da esportare”). Io mi limito proprio a narrare quanto vedo dalla mia piccola realtà di punto umano sperduto nell’universo, senza alcuna pretesa morale di averne colto un presunto senso universale.

I miei post sono difficili da leggere perché lunghi, i tuoi perché ermetici. Ci ho messo mezzo pomeriggio per capire. Innanzitutto grazie per il supporto.

Sono ad un passo dalla liberazione? Piuttosto, sono ad un passo dalla galera se vince il nazifemminismo puritano e proibizionista in occidente! Frattanto, sono ad un passo dal manicomio e flauto mi sta dando direttamente una mano a finirci anzitempo.
L’unica cosa che lui e i suoi maledetti concittadini (“grande finanza, lobbies e massoni, tutti sfruttatori mondiali”) che con falsi sorrisi e vera usura stanno distruggendo la nostra Europa sanno propormi è cercare “l’amore libero”.

Ma l’amore, tu sai, è il contrario della libertà, come ci ha insegnato Schopenhauer: è dipendenza dalla genetica, dalla biologia, dei modelli culturali, dai rapporti di forza sociali e psicologici.
Che sia “libero” è la menzogna propugnata proprio da chi (come le donne-femministe) lo vuol usare per togliere all’altro tutte le libertà: giuridiche, economiche, sessuali e di pensiero.

Se invece si capiscono tutti i meccanismi è possibili agire, individualmente e socialmente, se non per liberarsi, almeno per avere modo di combattere, bilanciare e trattare da una posizione non troppo debole (ed è quello che ho sempre cercato di fare).
Invece qua quello stesso flauto che poco sopra avevo cercato di difendere dalle assurde accuse di pedofilia si schiera con i miei peggiori nemici, i sostenitori dell’egalitarismo post-sessantottino e del femminismo demagogico. Con chi vuole impedirmi di costruire ed usare un qualunque valore immediatamente evidente ed oggettivamente valido al pari della bellezza (le doti di sentimento o intelletto, d’apprezzamento casuale ed arbitrario, e soprattutto soggettivo, non pareggiano alcun potere contrattuale), con cui essere mirato, disiato ed accettato al primo sguardo e prescindere da tutto dalle belle donne come queste lo sono per le loro grazie. Con chi vuole tenersi stretta (fingendo non esista ma sfruttandola!) la naturale preminenza nel “mondo come volontà” (le disparità di numeri e desideri e psicologiche di cui parlavo poco sopra) e, spandendo la grande menzogna dell’uguaglianza e dell’autodeterminazione, impedirmi di costruire buoni argini nel “mondo come rappresentazione” (società, cultura, ideologia, sport, divertimenti, lavoro, studio, laddove insomma l’equo e umano bilanciamento è chiamato a priori con voce mendace “discriminazione”, dove si impone un’uguaglianza ex-post senza considerare i diversi bisogni a priori e chiamando magari ingiustizia di genere il frutto dei meriti e delle qualità, e dei disperati bisogni, dei singoli uomini).

Facile poi parlare per lui (e per i suoi simili), che si trova premiato dalla posizione sociale, dallo stipendio di giada, e dalla “consonanza” ideologica con il sistema, e che quindi ha facilmente tante belle fanciulle “autodeterminate” (ovvero determinate nei giudizi, nei gusti e negli interessi da un sistema in cui egli ha o sembra avere un ruolo apicale). Per me è diverso. Per me, per riprendere Jerri Calà “è dura, molto dura” (come del resto, vedo per molti qua dentro). Io ho scelto la strada della libertà. Ho scelto un lavoro che mi lasciasse padrone dei 2/3 del mio tempo (come insegna Nietzsche). Mi sono rifiutato di seguire una strada “capitalista” per la quale non sono portato (e ho deciso questo dopo aver letto “l’arte di essere felici” ed aver capito come non avrei mai potuto vincere la mia natura). Ho accettato di vivere con uno stipendio di argilla (per essere libero, almeno in parte, di continuare a studiare e non considerando il fatto che per colpa di speculatori yankee e governi tecnici l’eredità paterna potesse dilapidarsi più in fretta che ai tempi di Schopenhauer) e in aperta opposizione al modello ideologico dominante (marketing oriented e filoyankee) pur di preservare la mia libertà interiore ed esteriore (stile di vita e di pensiero). Ovviamente non potrei mai fare altrettante conquiste femminili. Proprio perché sono più povero devo pagare direttamente. Il mio ruolo sociale, la mia immagine non è né sarà mai quella del maschio alfa di questo “secolo americano”. Quindi non avrò mai la possibilità di sfruttare lo schema attrattivo “uomo affermato – gnocca model type” per determinare una scelta in mio favore da parte di queste presunte donne autodeterminate (in realtà determinate da interesse, biologia, strutture sociali e psichiche). Né tantomeno ho intenzione di tornare a quella sottospecie di stato di natura che era l’età scolare nella quale nulla avevo da contrapporre alla bellezza che fioriva sulle coetanee assieme alla stronzaggine. Posso solo pagare cash una recita a tempo. Ma che almeno mi lascino i soldi e le leggi per farlo!

E non sono certo l’unico con questo problema. Anzi, sono fra i più fortunati. Ma è giustizia quella che le generazioni sotto i quaranta devono subire dalla repubblica fondata sul lavoro? E’ uguaglianza la loro subordinazione psicosessuale alle donne (altrimenti detta “zerbinisimo”)? Possibile che si sia solo capaci di incolpare questo o quel giovane di questa o quella mancanza e di non vedere la scena globale di iniquità? Di mancanza di compensazione/freno di fronte all’onnipotenza concessa di fatto alle donne sotto il falso nome di “emancipazione” (che altro è se non lasciare libertà alle donne di usare le loro armi – attrazione, maternità, psicologia, tirannia erotica, stronzaggine -- ed impedire agli uomini di fabbricarne ed usarne di proprie – denaro, kultur, regole certe, forza, civiltà)?

Sono nemico dell’uguaglianza? Chissenefrega! Fra l’equità e l’uguaglianza scelgo la prima cento volte.
Ma perché non dice apertamente che, dal misero puttaniere da FKK come me all’abbiente indipaysta come @Itaconeti siamo tutti da rinchiudere perché avversari del suo “verbo americano” (e post-sessantottino) sul presunto “amore libero”? Io il coraggio per dire “fuck US” e “fanculo il sessantotto, l’amore libero e il femminismo” ce l’ho tutto.
Gli manca il coraggio o nemmeno lui ci crede?
Ma non lo vede che prima o poi arriveranno anche a lui?

Tutti quelli che il femminismo sta accusando di “violenza”, “molestia”, “discriminazione” si sono dichiarati o sono effettivamente stati “amici delle donne”. Da Woody Allen (“che ama le donne”) a Weinstein (finanziatore democratico progressista e femminista), dal miliardario che viene accusato di violenza dalla modella che ha finito di mantenere al ragazzo del college che pensava di essere riuscito a conquistare la ritrosa (e invece “scopre” ex-post che in qualche modo non era “autodeterminata”).

Mi sembra quello che aveva taciuto quando avevano portavano via gli zingari, gli ebrei e i comunisti che gli erano antipatici, per poi accorgersi di come non fosse rimasto nessuno a protestare quando vennero a portare via lui.
Forse non sono io quello che sta guardando in alto con il rischio di inciampare nelle sedie del laboratorio anziché nelle occasioni della vita e nelle donne.

Ci sono delle trincee che non possono essere abbandonate. Non si può cedere in nessun universo sui principi di oggettività del diritto, di presunzione di innocenza e di libero arbitrio (nel senso di consapevole valutazione di ogni individuo sui compromessi della vita, come spiegato sopra). Non si può cedere soprattutto alla menzogna della parità che si sta rivelando sempre più impari per noi, della pseudouguaglianza che è verissima iniquità.
Ero ad un passo dall’abbandonare il pay, ma la propaganda neofemminista di flauto mi ha convinto a riprendermi le armi del puttaniere.
Sono infelice? Chissenefrega!

Hai ragione, il tempo passa e non ci è amico, ma non mi pare che le mie coetanee lo siano mai state (ovvero, non ho avuto, neanche volendo coglierle, tante piacevoli occasioni di rapporti sentimentali o erotici). E le giovani non credo siano più amichevoli. Ieri ho riguardato “i fichissimi”. Nella mia giovinezza non ho mai visto “quasi-fotomodelle” lasciarsi conquistare in tram da qualche sguardo e da qualche battuta, e, da come ho chiaramente percepito il loro comportamento altezzoso e sfottente, mi è sempre parso impossibile anche se il Jerri Calà di turno fosse stato più carino, più colto, più benestante. L’altro ieri avevo riguardato “luna di miele in tre”. Ecco, forse le occasioni che rimpiango di più sono quei “cinque giorni d’amore con Christine” che avrei potuto acquistare pagando una escort in grado di interpretare il sogno estetico dell’animo contemporaneo come le modelle con le cui immagini il giovane Renato Pozzetto ha tappezzato tanto la propria cameretta quanto i propri più intimi e delicati desideri. Meglio dunque che torni al mio romanzo, perché almeno il ricordo è “dolce per sé”.

Se poi mi sento a disagio in queste discussioni, dove comunque, a tuo dire, i miei argomenti si vendono bene, figurati cosa succederebbe se iniziassi a “vendermi male”.

P.S.
Strano che chi (e mi riferisco alle lobbies newyorkesi finanziatrici del femminismo) tiranneggia il mondo con la leva finanziaria voglia impedire a qualche tiranneggiato sociale di usare direttamente il denaro per evitare di essere tiranneggiati dalla stronzetta di turno nella sfera sessuale e da lì in tutto!
Evidentemente, ha barattato la propria libertà (in termini di stile di vita e pensiero) per il denaro e la posizione sociale. E allora vuole che a tutti gli altri sia tolta la libertà tramite il nazifemminismo.

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 19:53

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@gianniDrudi

Io non parlo di economica perchè non sono esperto. però da fuori ha l'impressione che a volte aspetti tecnici siano citati solo per nascondere una verità evidente:

la mancata voglia di cercare soluzioni al di fuori del paradigma sociale, economico, filosofico e politico affermatosi con la fine della guerra fredda.

In altri tempi qualcuno ebbe maggiore coraggio (anche se fallì).

Per ogni dottrina economica ci sono sostenitori e detrattori, non è come per la scienza che o è vera o è falsa/superata. E la dottrina attuale mainstream non funziona più, nel senso che non risponde alle esigenze attuali. Risponde principalmente all'esigenza di certe carriere accademiche (come ormai succede anche in campi più scientifici).

Ripete le stesse cure senza avere successo (da tanto ci dicono meno debito, vendete tutta la nazione ecc..)

Risultato: persa la sovranità, no money comunque.
Anzi, un altro risultato c'è: la perpetuazione del potere economico e culturale delle elite autoproclamatesi esperte! Ma un esperto deve dimostrarsi tale nei risultati. Io sarò pure un ignorante, ma i sapienti dovrebbero ammettere di non sapere abbastanza....
E' perlomeno sospetto che i sostenitori del "non si può" siano gli stessi che con "quello che si può" continuano a passarsela più o meno bene come un tempo...

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 19:51

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@FlautoMagico said:
@Tesista76 così deve essere perché l'evoluzione (quella cosa grazie alla quale non siamo sugli alberi a mangiare banane) vuole che ci sia competizione tra maschi in modo che non si riproducano tutti ma solo quelli più adatti.

Quindi occorre adattarsi a quello che richiede la femmina o andare a pute.

La vostra carta costituzionale inizia con una doppia menzogna: siamo creati uguali. In verità né siamo stati creati, né siamo uguali, né, tanto meno, come detto da Nietzsche, dobbiamo diventarlo.

La realtà è che siamo stati non creati da un dio fuori dal mondo, bensì generati dalla natura, madre di tutte le cose, in milioni di anni di evoluzione. E l’evoluzione non può prescindere dalla selezione sessuale. Per fini dunque afferenti la specie, e non la felicità dei singoli individui né tanto meno una qualche “idea di giustizia”, i desideri di natura fra uomini e donne sono dispari, per intensità, rapidità e rapporti numerici. Il numero delle donne disiate è in ogni tempo e luogo di diversi ordini di grandezza minore di quello degli uomini disianti (perché ad ogni età bramiamo la bellezza delle giovani, mentre le molto più variegate pretese delle donne, rendono quasi tutti gli uomini potenziali concorrenti, e perché mentre noi bramiamo l’ebbrezza dei sensi sempre, esse da giovani cercano sono autostima e da meno giovani solo benessere), il bisogno di godere l’ebbrezza dei sensi ha in noi frequenza ultragiornaliera e forza pari all’impulso della fame (mentre lo stesso non si può dire delle donne, in cui, quando esiste, tale desiderio sorge solo dopo un’attenta conoscenza dell’altro, in certe particolari situazioni e con la difficile concomitanza di tanti fattori) e infine sorge con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono non appena le grazie che è bello tacere si rendono sensibili agli occhi (mentre se un desiderio viene suscitato nella donna per l’uomo, esso è sempre condizionato all’emergere di certe doti di sentimento o intelletto di apprezzamento soggettivo, arbitrario e casuale, o all’esprimersi di certe qualità conferenti primato o prestigio sociali). Questi tre modi della disparità ci svantaggiano enormemente, nella possibilità stessa di trovare un’amante (ognuna ha almeno altri 1443 ammiratori giornalieri) , nei rapporti di forza contrattuale all’interno dell’eventuale relazione (essendo difficile e faticoso trovarne un’altra rischiamo di accettare di tutto da quella a cui per caso siamo rimasti graditi, avendo bisogno di trombare rischiamo di essere tiranneggiati sessualmente ecc.) e soprattutto nella prima fase dell’approccio (quando ella è già apprezzata per quello che è – bella – mentre noi dobbiamo obbligatoriamente dire, fare o mostrare qualcosa nella speranza di risultare graditi e con la certezza di essere sottoposti alla tensione di un esame da parte di colei che può invece già rilassarsi e iniziare a divertirsi con noi o su di noi). Se i desideri fossero pari, non esisterebbe la selezione sessuale.

Ma la specie umana è un termine. Non vi sono evidenze biologiche che portino a ritenere di dover essere soppiantati da un’ulteriore specie. Si tratta solo di scegliere il tipo umano che consideriamo “migliore”. Per me e Nietzsche si tratta del superuomo rinascimentale, ma ora non importa perché ci porterebbe fuori tema. Quello che rileva è notare come qualunque tipo umano sia definito e si perpetui in maniera non più dipendente dalle leggi della selezione naturale. In natura emerge “il più adatto all’ambiente”; mentre nel mondo storico la civiltà ha conquistato il potere di cambiare a sua volta il mondo e stabilire un nuovo concetto di uomo (storico, appunto, ovvero identificato in base alla specifica visione del mondo, allo specifico sistema di valori, alla specifica volontà di destino che caratterizza ogni diverso popolo, anzi ogni diverso tipo umano). Tutto questo per dire che il darwinismo sociale, a cui impropriamente si associa l’autore dello Zarathustra, è una cagata pazzesca.

La società non deve scimmiottare l’evoluzione della specie, ma creare le condizioni in cui quanti più individui possibili riescano, se non a vivere felici come pretendereste voi (impossibile, anche ammettendo di sacrificar emolti per la felicità di pochi come si sta già facendo in questa fase storica) almeno a “vivere sopportabilmente”.
Giunti allo stato di autocoscienza, difatti, alcune situazioni naturali diverrebbero insopportabili per l’uomo. Una di queste è la crudeltà delle femmine nel corteggiamento e nel rapporto con i maschi. Ecco perchè le pute sono necessarie (ma siete voi che me le vorreste vietare, con le vostre leggi e il vostro "progresso sociale"...)

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 19:50

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@Tesista76 said:
@Serendipity

Grazie,

Per curiosità ho digitato “dating Lebanese woman” su YouTube ed ho trovato il seguente documentario

Vengono intervistate donne con difficoltà a trovare un partner

La matematica è severa ma intrinsecamente giusta

Il femminismo ed il benessere possono essere dei fattori che influenzano i rapporti contemporanei ma alla fine se mancano i numeri e cioè le donne più giovani ai maschi e conseguentemente abbondano i maschi più maturi alle donne, le difficoltà numericamente oggetttive in Italia giustificano lo stato attuale

Auguri e figlie libanesi, spero facciate il vostro dovere così da dare a quei 1,2 italiani per donna più opportunità nel 2048 😄

Magari fosse solo 1,2 lo sbilanciamento, Non credo, purtroppo, sia quello. C'è la disparità di desideri (dovuta alle leggi della selezione che dettano quelle dei reciproci desideri) che moltiplica quell'1.2 per 10, 100, 1000....

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 19:46

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@Itaconeti

Un po' di pensieri in libertà su questo topic da cui mi ero allontanato per nervosismo (posto questi cinque punti poi smetto definitivamente di discutere al di fuori dei miei due 3D: dedico a te uno degli ultimi perchè sei fra quelli che rispetto)

PUNTO 1.
Ammetto di conoscere poco la materia economica. L’ho incrociata solo una volta per sbaglio all’ultimo anno di ingegneria e si trattava di un esame di economia e gestione aziendale consistente in una summa di convenzioni da memorizzare (sul bilancio), di chiacchiere da ripetere (sul management) e di formule lunghe (ma solo perché si davano nomi lunghissimi alle variabili anziché chiamarle con le lettere come si fa in analisi). Del resto ho sempre avuto poco interesse per discipline che si danno arie di scientificità senza averne i requisiti. Se non posso avere il rigore della fisica e le idee chiare e distinte della matematica, preferisco ricercare all’opposto il mistero del mito e la vaghezza della poesia alle sedicenti “scienze sociali”. L’impossibilità di una scelta puramente razionale in questo campo (che è poi il campo della vita) è evidente: la scienza presuppone la replicabilità a piacere degli esperimenti in un ambiente controllato, cosa per forza di cose preclusa alla storia e all’economia (come, del resto, all’esistenza umana: non abbiamo slighting doors per verificare l’ipotesi opposta). Ecco perché le pretese scientifiche di storia o economia vanno prese per imposture ancora più pericolose di quelle religiose e millenaristiche (pericolose proprio perché apparentemente credibili). Non voglio mancare di rispetto, ma quando dici che “senza l'apertura di nuovi mercati nell'ex terzo mondo il sistema sarebbe collassato portando a un terzo mondo planetario” fai una congettura, non evidenzi un fatto. Non è possibile né a me né a te verificare se è vero. Se dobbiamo fare delle ipotesi, possiamo farne anche di più credibili. Dovrei davvero credere che un sistema perfettamente funzionante fino al 1989, limitato ad Europa occidentale e Stati Uniti, sia in pochi anni diventato talmente malfunzionante da richiedere, per non collassare, l’apertura non solo ai paesi est-europei, ma pura a Cina, India, far east e compagnia puzzante? A me risulta più facile credere che chi dalle “aperture” ci guadagna (perché nell’ex terzo mondo può sottopagare il lavoro, fregarsene dei diritti, fare e disfare i governi) abbia colto l’occasione della caduta dell’URSS per espandersi a più non posso, a prescindere dalle conseguenze, come un qualunque gas (non nobile). E che una classe politica debole (per non dire venduta), specie in Italia (dove tangentopoli aveva eliminato per via giudiziaria chi avrebbe potuto opporsi) abbia preferito appoggiare scelte favorevoli a pochi potenti (multinazionali, finanzieri senza patria ma con sede in usa) e sfavorevoli a molti votanti (proletariato, media borghesia, piccoli imprenditori ecc.). La mia spiegazione è più semplice perché si riassume nella parola “avidità” (che, per citare “Il denaro non dorme mai” non è certo un delitto, ma non può neppure essere una pubblica virtù) e non ha bisogno di termini come “saggio di profitto”.

Punto 2.
Non ci sarà stato un "cattivo" a decidere, ma una massa di cattivi politici, servi o direttamente di potentati internazionalisti, o, indirettamente, della propria stupidità progressista, sicuramente. Non si può certo sostenere alla prova dei fatti che abbiano seguito l'interesse del popolo europeo in generale ed italiano in particolare. Declino inevitabile per le dinamiche capitaliste? Può darsi, però, una diversa gestione della globalizzazione dall'89 in poi (magari solo ritardando il più possibile l'ingresso della Cina nel WTO con la scusa dei diritti umani) avrebbe regalato sicuramente ancora mezzo secolo di benessere agli europei. Si è scelta la strada suicida dell'accelerare il presunto "futuro inevitabile". Avrebbero ancora potuto vivere bene 1-2 generazioni che ora sono, perdona il francesismo, con il culo per terra. Se permetti, allora, queste generazioni hanno tutto il diritto di essere ferocemente adirate, perchè l'occasione persa era la loro vita. E per quanto riguarda il femminismo, un qualche nome su chi ancora lo finanzia (nella sua parte peggiore, quella doppiogiochista delle femen) te lo posso anche fare. Eliminando lui, magari non si eliminerà il problema, ma si avrebbe per un bel po’ un notevole sollievo materiale e morale della nostra situazione. Quanto al riferimento all’università, è pienamente vero quanto dici: fino al 2008 sono entrati cani e porci (e ci rimangono tuttora credendosi luminari), dopo non è entrato quasi più nessuno anche se bravissimo. Questo però non si chiama “causa oggettiva”, ma “ingiustizia generazionale”: i nati prima di una certa data hanno avuto diritti, lavoro e posizione sociale a prescindere dai loro meriti, mentre i nati dopo non hanno nemmeno avuto l’occasione di dimostrare le proprie qualità (anzi, sono stati “baronizzati” dai primi, sono stati guidati verso mete sbagliate da chi non aveva la minima idea di cosa fosse la ricerca in un mondo competitivo e globale, ed ora fanno pure la figura dei “non eccellenti”). Non venirmi a dire che dipende dal capitalismo mondiale: dipende dal feudalesimo italiano!

Punto 3.
Se l’economia fosse una scienza, qualche economista sarebbe in grado di prevedere l’andamento del mondo come gli scienziati prevedono il passaggio delle comete o gli impatti con gli asteroidi. Invece, come disse qualcuno più autorevole di me, prevedono solo le cose già avvenute. Le teorie economiche (e filosofiche) sono, appunto, innanzitutto teorie. Rimangono sostanzialmente immutabili come le idee del mondo di Platone, mentre questo magma fluente che è la terra non cessa di mutare. Ne consegue che, se una teoria spiegava bene la storia (e l’economia) in un dato tempo, prende dei grandi abbagli passato un certo “intervallo di coerenza”. Se il marxismo ha spiegato benissimo la fase capitalistica fra otto e novecento, non spiega più quella del dopoguerra (da lì il fallimento dei partiti comunisti che si credevano ad un passo dalla vittoria mondiale), così come peraltro non avrebbe spiegato l’epoca aristocratica. Per fare degli esempi, se la prima guerra mondiale si spiega perfettamente con il marxismo, la seconda mostra già qualche elemento sfuggente all’ortodossia del barbuto di Treviri, mentre l’epoca delle crociate, tanto per esagerare, è totalmente fuori portata (necessiterebbe, per una spiegazione ragionevole, lo studio di dottrine medievali che sarebbero definite “irrazionali”). Questo intendevo quando parlavo di “non stazionarietà” della storia. Per spiegare il mondo attuale, falliscono sia liberismo sia marxismo, come dimostrano non solo le previsioni sbagliate dei vecchi comunisti ormai passate alla pattumiera della storia, ma pure quelle degli odierni guru progressisti (il coro di insulti verso nuove forze politiche bollate come “reazionarie”, “fasciste”, “populiste” è prima di tutto il grido di dolore della classe intellettuale cresciuta a “progresso, moneta e libertà” per l’impotenza a capire una diversa visione del mondo, corrispondente ad un diverso andamento reale del mondo). D’altronde, ora che la ricchezza è ormai immateriale e viene prodotta senza operai, non vedo molta correlazione tra parole e personaggi da te citati è la “realtà liquida” di oggi. Dottrine politico-economiche in grado di spiegare l’attualità devono ancora sorgere. E quando saranno messe a punto, saranno già superate dagli eventi (data la velocità attuale dei cambiamenti). Quindi, per favore, rassegnamoci all’imprevedibilità. E’ il bello della vita. Sono pazzo io? No, sono pazzi i sostenitori della cultura mainstream. Quando le cose sono imprevedibili, bisogna essere massimamente adattativi con la mente, ovvero il contrario di quanto fanno gli accademici che pontificano in Europa: da 25 anni predicano rigore e diffondono fiducia nel politicamente corretto e da 25 anni ottengono una spirale negativa di riduzione della ricchezza, degradamento della società ed aumento del debito. E’ davvero insano, come diceva Einstein, ripetere le stesse cose aspettandosi un risultato diverso.

Punto 4.
La tua analisi, va riconosciuto, è verosimile, ed è identica a quella che ho sentito da amici marxisti, ma ha il difetto di essere elaborata all'interno degli schemi mentali di questi tempi moderni (l'economia al centro). Ne consegue che anche le soluzioni sono limitate. Difatti, in accordo al tuo ragionamento, le uniche possibilità di scelta per i giovani (soprattutto maschi) dei prossimi decenni sono: farsi sfruttare in patria o all'estero? Farsi arrestare per presunto “stupro” sulla sola parola dell’accusa o per accertato “acquisto di prestazioni sessuali”? Vedersi licenziati perché “non si è multitasking” o perché “si sono trattate impropriamente le donne”? Sono scelte, come vedi, molto più limitate di quelle che hai avuto tu. L’unico motivo per uscirne sarebbe davvero sperare in una rivoluzione proletaria mondiale (magari ispirata dal comunismo platonico anziché da quello marxista) o in una guerra atomica che azzeri tutto. Ma è davvero così? Proviamo a cambiare prospettiva, a fare una sorta di rivoluzione Copernicana. Ci viene insegnato (oggi) che “comandano i finanzieri, i banchieri, gli speculatori” (e, per quanto ci riguarda) le donne, perché “l’economia è naturalmente al centro”. Se invece provassimo a dire il contrario, cioè “l’economia è al centro” proprio perché, con sovversioni morali, avvelenamenti e altri trucchi “da sacerdote” (direbbe Nietzsche) o “da donna” (dico io) il tipo umano prevalente da due decenni (nel turbocapitalismo finanziario), da due secoli (nella politica), da due millenni (nello spirito) è quello “infero” del mercante (intimamente femmineo in quanto legato ai concetti di tempo e utile, nonché degno foglio di quel mercante di anime e di colpe e di punizioni che è il prete), anziché quello “supero” del guerriero e del sapiente (e, aggiungo dell’artista, votato al Sacro, al Bello), virile per eccellenza in quanto proteso ad una “più che vita” (di là dalla mera esistenza conservativa e corporale data dalla madre)? La prima tesi suppone gli esseri umani sostanzialmente impotenti nei confronti della storia e il mondo indifferente alla qualità degli uomini, la seconda assume invece la storia dipendere dall’agire umano e il mondo dal tipo di uomini. Nel primo caso non solo è inutile lottare, ma è pure inutile vivere: è già tutto scritto (teleologia). Nel secondo caso si possono sempre mettere in discussione tutti i rapporti di forza (con la guerra o la filosofia del martello, la rivoluzione o la violenza privata, dipende dai casi e dalle opportunità). La prima induce a marcire nella situazione attuale, la seconda a marciare (oggi come vedi mi sono riascoltato quel discorso di Marinetti…) per cambiarla. E allora la scelta fra le due, per riprendere una battuta di quell’idealista tedesco (non mi ricordo se Fichte o Schelling, ora che vado per gli anta anche la mia memoria vacilla) non dipende tanto da quello che si osserva, ma da quello che si è. Gli inferi, tendenzialmente, propendono per la prima ipotesi (perché, a seconda del loro ruolo sociale, giustifica la loro inazione o legittima la loro usurpazione), i superi per la seconda (perché dà senso alla loro vita nella lotta, nel rischio, nella tenacia). Sono focoso e sentimentale? No, sono inesorabilmente realista. In primis, specie per i giovani maschi non c’è nulla da perdere (non il lavoro, non il denaro, non la figa) e, per dirla ironicamente con Marx, un mondo da guadagnare. Un mondo diverso da quello del seggio di profitto o dello spread (eppure non preistorico ma futurista, non residuale ma protagonista, non decadente ma ascendente) è esistito nella realtà sotto uomini di questa seconda specie in diversi momenti storici: la Grecia omerica, la Roma della prima età repubblicana, la Germania sacra e imperiale di un certo medioevo ghibellino, il Rinascimento latino, la Prussia (se si può ancora citarla) ed è quindi ancora possibile ora. E’ stato possibile per breve tempo pure nell’italietta giolittiana (il Futurismo non è stato solo proclami, ma anche automobili, aerei e imprese eroiche, che riuscivano pure, dai banchieri, ad avere finanziamenti, vedi quello che il papà di Guido Keller fece per l’avventura fiumana)! Si ignora troppo spesso che fra le caverne preistoriche ed il capitalismo attuale di Wall Street è esistita quella che propriamente è stata la civiltà europea (e rispetto a cui l’attuale Unione Europea, con il suo umanitarismo apolide, il suo servilismo filoatlantico, il suo femminismo demagogico ed il suo materialismo mercantile, rappresenta quanto voi evoliani direste, con gergo iniziatico, una “inversione”).

Punto 5.
Torniamo un attimo a Schopenhauer. Mondo come rappresentazione è tutto quanto rientra nella catena delle cause e degli effetti (comprende quindi società, economia, cultura, morale eccetera). Mondo come volontà è tutto quanto, essendo “prima” della fisica (metafisica in senso non certo spiritualizzato) non può essere spiegato se non con la parola “voglio” (perché vuoi vivere, perché vuoi mangiare, perché vuoi dormire, perché vuoi trombare?). Che "l'amore mova il mondo" non è soltanto una balla romantica, non è soltanto un verso dantesco, ma, se per esso si intende non un'idealizzazione poetico-sentimentale, bensì la pulsione vitale tramite cui la natura muove gli esseri viventi anche contro i loro stessi interessi e la loro felicità, a propagare la vita specie per specie, anche e soprattutto una dura verità contro la quale ogni giovane maschio finisce per infrangere i propri sogni di vita serena. Tanto importante è in natura la riproduzione (poiché solo da essa sorge la possibilità per la vita di andare di là dagli individui effimeri), così forte prorompe in tutti gli esseri viventi il desiderio di essa (il sospiro della specie, come direbbe Schopenhauer squarciando il velo di Maya), così profondo è il conformarsi ad essa della struttura del corpo e della psiche di ogni forma animata, che, anche quando gli individui non se ne rendono conto, persino quando non hanno intenzione cosciente di avere figli o addirittura rapporto alcuno con l'altro sesso, le loro azioni e i loro sensi risultano comunque (tramite i desideri, i bisogni, e la forma stessa della loro struttura psicofisica) intimamente dettati da essa. Le azioni e i pensieri che l'uomo crede prodotti della propria volontà cosciente sono in realtà soltanto i mezzi con cui le persone cercano di raggiungere i fini dell'esistenza, ma quali siano questi fini, cosa si desidera e ciò di cui si ha bisogno non è scelto dalla "coscienza", bensì è imposto dalla VOLUNTAS (di cui l'uomo stesso, con la sua stessa coscienza, parte del cervello-macchina biologica, è espressione vivente). Che poi l'uomo sia in grado di riconoscere/sublimare tutto ciò in modo apollineo-razionale o artistico-dionisiaco poco conta. Conta questo: poiché per motivi utili all'evoluzione della specie le donne sono portatrici del principio di selezione della vita mentre gli uomini sono mossi dal corrispondente e parimenti necessario impulso di propagazione della vita, mentre le prime possono starsene comodamente "ferme" ad attendere che "il migliore" (chi eccelle nelle doti qualificanti la specie e quindi rese socialmente dominanti) le "conquisti", i secondi hanno, volenti o (spessissimo) nolenti, l'obbligo di avere "parte attiva". Tutto ciò che essi hanno generato storicamente (i mondi dell'arte, della religione, della politica, dalla storia, del pensiero, della società), la stessa complessa struttura della società e del mondo in cui individui e popoli si scontrano per il primato non ha altra ragione dalla necessità (sconosciuta alla donna, già beata sempre dal privilegio della bellezza, ché quando manca vi supplisce l'illusione del desio), di primeggiare socialmente per essere scelto quale miglior padre per la futura prole, di eccellere nelle doti conferenti primato o prestigio sociali, al fine di essere desiderato dalle donne così come queste lo sono da lui. Qui non è l'uomo a decidere il fine, ma la volontà di vivere a volere questo quei fini per lui (almeno fino a quando egli vuole vivere, ovvero appagare i propri bisogni vitali in sè - sessualità - e dopo di sè - riproduzione -, e non solo sopravvivere). Egli, secondo quanto mostrato, può solo ricercare (come mezzo) la propria signoria nel mondo dei giudizi di valore e delle forme di conoscenza, per giungere semplicemente a quanto, nel mondo della volontà di vivere, è già in partenza posto in signoria della donna (l'accesso al piacere dei sensi e alla procreazione). Anche la donna è parimenti mossa dalla volontà di vivere, ma, proprio perché la sua vita si compie nell'attrarre e selezionare, può restare ferma nella assai più comoda (per non dire privilegiata) posizione "passiva", dalla quale ha sia l'appagamento dell'autostima dell'esser disiata sia quello del potere di influire sugli uomini e sugli eventi tramite quanto in essi vi è di più profondo e irrazionale (oltreché necessario), collegato al mondo di cui (a prescindere da qualunque giudizio di valore e da qualunque forma di conoscenza) ella sola DETIENE LA CHIAVE. Qual è il mondo vero e quale il mondo apparente? La morale e la conoscenza appartengono per antonomasia al mondo della rappresentazione: rappresentano semplicemente il modo in cui l'uomo valuta e percepisce la realtà. La riproduzione e il desiderio, viceversa, sono par excellence, forme dirette della volontà di vivere. Ecco perché non mi pare plausibile che lo stato attuale di qualcosa che riguarda il mondo come volontà dipenda da qualcosa (capitalismo) che nasce e muore nel mondo come rappresentazione. Detta in parole spicce. Perché il capitalismo funziona? Perché l’uomo è avido. Ma perché l’uomo è avido? Perché è cattivo? No, con il moralismo pauperistico non spieghiamo niente. Perché il sistema lo convince moralmente ad essere tale? No. Semplicemente, perché vuole conquistare la donna. Ecco dunque perché l’analisi asessuata dei liberali inglesi o dei marxisti non riesce a vedere cosa c’à di là dal velo di maya dei saggi di profitto e del denaro di carta. Dietro le spiegazioni apparenti del capitalismo, per dirla alla Cetto, “c’è sempre u pilu”.

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 19:44

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@IlBaronetto said:
post muto
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Ma che cavolo di discorso è? Ella può mostrare e io non guardare? Ella puoi sfoggiare liberamente (per vanità, capriccio, moda, autostima, accrescimento di valore economico-sentimentale, o gratuito sfoggio di preminenza erotica) le sue grazie, nel modo che vuole e per il tempo che vuole ed io non posso altrettanto liberamente guardare quanto (da ella) mostrato (secondo natura)? Ella puoi "tenere le cosce di fuori" passando sulla pubblica via ed io non posso, nel medesimo luogo, rivolgere ad esse lo sguardo e il disio (da ella per prima oggettivamente suscitato con il fatto stesso di mostrare pubblicamente quelle fattezze che, in conseguenza non della mia volontà, ma delle disparità di desideri volute dalla natura, hanno valenza sessuale)? E perché il suo mostrare sarebbe raffinato e il mio guardare porco? Sono entrambi desideri di natura! E' solo ipocrisia il fatto che ella presenti il "mostrare le belle gambe depilate" non come istinto (qual è) ma come "cultura" (mentre al contrario chiami "fare il porco" il guardare secondo natura le stesse forme da lei mostrate). Come si fa a negare che nel diritto a “vestirsi come ci pare” si nasconda il legittimo e naturalissimo disio femminile (magari inconscio) di farsi guardare (anche quando la mente cosciente non ha intenzione di incontrare o conoscere uomo alcuno, perché l'istinto non può saperlo)? Mi considerate stupido? Sappiate che odio la femminea ipocrisia! Si vestano e agiscano come vogliono! Posso accettare ciò, ed evitare il burqua e l’altre cose e restrizioni talebane, se ovviamente si riconosce il corrispondente diritto a guardare ciò che la donna per sua decisione autonoma ha deciso di mostrare. Altrimenti si tratta di uno squilibrio inaccettabile. Se io devo “trattenermi” dal guardare (e non si capisce perché) la donna si deve “trattenere” dal mostrarsi (secondo me non è giusto neanche questo in un mondo non talebano, ma segue coerentemente dal primo divieto), come avviene presso gli Arabi. Io speravo in un occidente emancipato in cui le donne potessero farsi guardare senza essere violentate e gli uomini guardare senza essere accusati. E lo stesso dicasi per i tentativi, più o meno volgarmente espliciti, più o meno poeticamente vaghi, più o meno raffinatamente letterari, più o meno bassamente prosaici, più o meno esperti, più o meno maldestri, di corteggiamento. Se ella pretende (ancora!) il diritto ad essere corteggiata, io devo avere il diritto (non il dovere, però) di provarci in buona fede senza rischiare denunce per violenza (oppure non ci si lamenti più se da vent’anni esatti ho scelto la strada esclusiva del culto di Venere Prostituta)!
Non ho motivo per ritenere che essere oggetto di disio sessuale sia più offensivo per una donna di quanto non lo sia per un uomo essere considerato un freddo specchio su cui provare la propria avvenenza (e questo sta dietro la pretesa di vestirsi e svestirsi o addirittura provocare come vogliono), o, peggio, un pezzo di legno davanti a cui permettersi letteralmente di tutto sapendo che non può e non deve reagire (come invece magari farebbe nelle corrispondenti situazioni con un altro uomo). Perché questo attualmente succede in occidente! Questo è quanto succede per le strade, nelle discoteche e persino a volte nei luoghi di lavoro! E dirò di più: mentre il comportamento dell’uomo è spesso soltanto naturale, quello della donna ha in più la stronzaggine premeditata.

Quando leggo cose così mi benedico per non aver rivolto nè complimenti, nè sorrisi, nè sguardi alle melanzane.
Meritano solo di invecchiare ignorate in un mondo di culattoni.

Bisognerebbe rispondere con quanto ho scritto a proposito di chi (in Francia) fa le leggi ascoltandole:
https://www.gnoccatravels.com/viaggiodellagnocca/140648/quando-le-questioni-sulla-gnocca-sono-una-cartina-tornasole-delle-questioni-sulla-liberta/#c2

Beyazid_II
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23/07/2018 | 19:21

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II questa è la matematica ready-to-wear che insegnano a ingegneria, ma esistono vette ben più alte per chi ha deciso all'alpinismo. Penso ai numeri di mersenne, legati ai numeri perfetti, i quali sono sempre pari, ma nessuno sa perché. Ecco una vetta da scalare.

Va bene, ma lì parliamo di passioni veramente elevate. Io dico, semplicemente, che anche nelle cose terra terra utili ad un ingegnere, specie se fa ricerca, ci devono essere rigore e completezza, ormai esiliate dall'università.

P.S.
Quando le vette sono troppo alte, rischi che uno strato di nuvole non ti faccia più vedere il fondovalle. E purtroppo per un ingegnere è fondamentale almeno far credere che quanto sgorga dai ghiacciai in quota rifluisca anche a valle...

Beyazid_II
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23/07/2018 | 18:37

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II ai letterati la matematica piace tanto ma poi non la capiscono… invece la matematica è bella proprio quando se ne capiscono le implicazioni più profonde.

Non piace alle prof. di lettere. Alle medie osai scrivere in un tema che quando studiavo concetti matematici mi pareva di studiare una materia "eterna", valida per tutti in ogni luogo e in ogni tempo, al contrario delle materie umanistiche condizionate dalla soggettività degli autori. Avevo in pratica precorso Platone, ma come risposta ebbi una bella sgridata e un consiglio "vai a farti un giro in bici piuttosto che scrivere queste scemenze"...

Nella mia esperienza successiva, i primi a non capire la matematica mi sono proprio parsi i colleghi ingegneri: il loro problema non è non capire le implicazioni, ma proprio ignorare le premesse.
Non verificano mai le ipotesi, poi si lamentano che "il teorema non funziona" o "la teoria non ha riscontro nella realtà". L'esempio più eclatante è quello del toroide in elettromagnetismo. Come noto, i punti che lo formano non costituiscono un insieme semplicemente connesso (banalmente, c'è il buco in mezzo alla ciambella). E' ovvio quindi che dalla proprietà locale del rotore nullo non si possa dedurre quella della circuitazione uguale a zero lungo qualunque percorso. Per far "funzionare" il lemma di Poincarè devo essere in un insieme semplicemente connesso. Quando il prof di Fisica II, prima di introdurre la corrente di spostamento (che è stata scoperta proprio così, per "estetica"), chiese contezza di tale apparente contraddizione, fui l'unico ad alzare la mano, ma ero troppo indietro perchè mi potesse vedere. E così, ancora una volta, gli ingegneri fecero una magra figura quanto a comprensione della matematica (tanto che mi sento sempre a disagio: sono chiamato ingegnere in mezzo ai matematici e matematico in mezzo agli ingegneri).

I letterati, semmai, vanno troppo in là con le presunte implicazioni, fino ad inventarsi castelli in aria di filosofia e morale basati su sciocchezze che, con il linguaggio della matematica, si spiegherebbero con due passaggi. E te lo dice uno che ha la "Prova matematica dell'esistenza di Dio" qui sul comodino dell'ufficio.

Che dire poi, di quegli stessi matematici responsabili dell'insegnamento a ingegneria? Quelli che insegnano le variabili aleatorie nelle ultime due ore di lezione dell'ultimo giorno di Analisi. Quelli che "per semplificare" spiegano solo l'integrale di Riemann (la "banale" somma infinita di infinitesimi) e non insegnano quello di Lebesgue (infinitamente più elegante, ma che implicherebbe capire qualcosa della teoria della misura)! A quel punto, per un ingegnere, che significato potranno avere le trasformate di Fourier o di Laplace, quando è noto che Lebesgue ha dovuto inventarsi un nuovo integrale proprio per poter trattare gli infiniti come serve in quei casi? Vogliamo parlare di implicazioni profonde? Basterebbe un minimo di rigore, anzi, solo di buon senso.

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 18:20

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@FlautoMagico said:
Ma anche io sono libero, vado dalla ventenne quando con lo sguardo mi fa capire le sue inclinazioni sessuali, altrimenti sto benissimo da solo, senza bisogno di surrogati.

La libertà non ci è data da un dio fuori dal mondo, come ancora crede qualcuno, ma dalle condizioni reali in cui, nel mondo, vediamo rapportarsi i nostri bisogni (in questo caso naturali) con le alternative possibili per appagarli.

  • Anch’io sono libero, ma solo perché, quando una ventenne dà l’aria di stronzeggiare, una trentenne di tirarsela all’inverosimile ed una quarantenne quella di credersi una principessa inconquistabile, posso licenziarle tutte tre (come farebbe Gasparino il carbonaro coll’amministratore, con suo padre e con suo nonno) e rivolgermi alle professioniste del Culto di Venere, preferendo di pagare in contanti per una recita estetica completa, piuttosto che in sincerità, dignità, recite in quelle forche caudine che sono ancora il corteggiamento anche se tu a parole credi di addolcirle chiamandole “seduzione”. Anch’io non ho bisogno di surrogati, perché mi basta il pensiero di poter appagare i miei desideri naturali pagando per potermi sentire immediatamente sollevato (da un punto di vista fisico e mentale).
  • Anche lo sugar daddy citato da @Itaconeti è libero, ma solo perché per ogni sugar baby che si mostri altezzosa, pretenziosa o tirannica, ne trova altre tre alle stesse condizioni estetico-economiche.
  • Un ragazzo che non abbia ancora (e forse mai avrà) denaro, posizione sociale, prestigio culturale o altro per bilanciare in desiderabilità e potere la bellezza è (e sarà sempre più) molto meno libero, giacché fra il continuare con le seghe o il dover sopportare la vanagloriosa prepotenza e la tirannica vanità della stronza di turno (spesso di bellezza non alta ma di comportamento sempre altezzoso), nella speranza più o meno vana di concessione, non ha alternative. E se l’evolvere delle leggi e dell’economia gli toglierà da adulto la possibilità di rivolgersi al sacro antichissimo culto di Venere prostituta per appagare il bisogno innato di godere della bellezza, il rischio di subire perfidie sessuali, tirannie erotiche e sbranamento economico-sentimentali diventerà certezza.

Quindi col cavolo che siamo tutti nati liberi uguali! O che possiamo restarlo a prescindere dal femminismo.

Quello che voglio dire è che sia tu, sia io, sia @Itaconeti o chi per lui, siamo liberi solo grazie a costruzioni culturali, sociali o individuali, che abbiamo la fortuna di poter sfruttare o il merito di esserci costruiti.
Tu hai potuto e saputo arrivare ad affermarti (come vedi prendo per vere le tue narrazioni senza remore né invidie) in quelle posizioni apicali del capitalismo grazie a cui ti mostri manifestamente, agli occhi di ogni giovane modella che in questo sistema vive e valuta, “l’eccellenza” (economica e sociale), la quale non deve né pagare né recitare (e forse neanche chiedere, se è vero che ti danno già il consenso con lo sguardo).
@Itaconeti è stato capace di “cavalcare la tigre” (e gli faccio l’occhiolino se mi legge) del capitalismo fino a poter spendere l’equivalente di interi stipendi per mantenere accanto sé come geishe fanciulle che incarnano l’ideale estetico contemporaneo e con gli altri farebbero invece (come si evince anche da questo 3D) le stronze.
Io, fra i tanti demeriti, ho almeno il merito di aver organizzato la mia vita in maniera tale da preservare libertà di vita e di spesa sufficienti almeno per gli FKK. A chi mi critica dicendo che non è un merito mio ma semmai di mio padre, replico che comunque di fortuna costruita si tratta. C’è persino chi loda la mia conoscenza o la mia dialettica dicendo che farei meglio (una volta eliminato l’eccesso di citazioni e distillate le gocce di profume di Grasse…) a spenderle con le donne reali piuttosto che su gnoccatravel. Magari non ne avrei mai il coraggio, ma anche questa situazione ipotetica conferma quanto sia necessario costruire qualcosa da contrapporre alla bellezza naturale.

Comunque la si voglia giudicare, abbiamo in tutti e tre i casi costruito (tramite lo studio, il lavoro, il denaro la posizione sociale, la ricchezza, la cultura, il potere) la nostra libertà, la quale risiede quindi nel “mondo come rappresentazione”.
Le donne, invece, non ne hanno mai avuto bisogno, perché hanno tutta la loro forza contrattuale (e quindi la loro libertà) in quanto affonda le radici non in qualcosa di costruito o rappresentato, ma nell’immediatezza degli istinti, dei bisogni naturali, degli impulsi vitali (chè questo in fondo è l’amore sessuale) in qualcosa di simile a quanto Schopenhauer chiamerebbe “mondo come volontà” (metafisico in quanto al di là della catena delle cause: “voglio mangiare, fuggire, scopare, attaccare…perché voglio”).

L’istinto sessuale è uno dei quattro impulsi fondamentali dell’essere vivente e non può essere considerato alla stregua dei tanti bisogni indotti del capitalismo di cui con un po’ di forza di volontà si può fare a meno. Se non si mangia si muore di fame, se non si beve si muore di sete, se non si dorme si deperisce come morte foglie, se non si appagano sensi si deperisce in altro modo (disagio da sessuale ad esistenziale con rischio di ossessione o peggio).
Certo, è anche nelle donne è presente lo stesso impulso, ma è opposto-complementare come insegnano gli etologi, non uguale come narrano gli antropologi.
Purtroppo per noi, alla donna è dato (non dalle convenzioni di una particolare società, ma dalla natura) il grato e facile ruolo di “selezione della vita” (ben simboleggiato dall’immagine dell’ovulo che può ben aspettare l’arrivo dello spermatozoo più veloce e resistente fra tutti quelli attratti senza bisogno di muoversi), a noi quello ingrato e faticoso del propagarla (disiare la bellezza, nella vastità multiforme delle creature femminine, con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono, non appena questa si mostra nelle grazie ch’è bello tacere, mirarla, seguirla e cercare di ottenerla, in modo da permettere alla controparte femminile di selezionare fra i tanti chi eccelle nelle doti volute perché qualificanti la specie).
Quindi nel desiderio (e nei bisogni) c’è disparità. Se non ci fosse tale disparità non ci sarebbe la selezione in natura.

Anche l’ultima contadina della steppa appena giunta in città senza aver studiato, senza prospettiva di conseguire alcun particolare successo professionale, e senza avere particolari qualità intellettive ha, con un minimo di consapevolezza, la sua forza contrattuale (tanto che molti su questo forum cercano proprio questo tipo di fanciulla nei loro GT). Prova un po’ a pensare ad un ragazzo nelle stesse condizioni. O fa la carriera di un Napoleone o di forza contrattuale non ne ha.
Perché gli uomini possano vivere liberi e felici (due concetti sconosciuti alla natura e quindi, in linea di massima, all’amore) la disparità va compensata (socialmente, come veniva fatto dalle ingiustamente criticate società tradizionali prima dell’avvento del femminismo), o va lasciata libertà di compensare individualmente (come hanno potuto fare i maschi di buona volontà prima dell’ondata 2.0 femminil-femminista).

Tornando a noi tre scelti a caso dal mucchio di “liberi pensatori del forum” a puro titolo di esempio, abbiamo tutti speso tempo, fatica e doti personali per avere “qualcosa in più” rispetto all’uomo comune (che alle belle donne non interessa e tu manco vuoi sentire citato) e soprattutto rispetto alle belle fanciulle a cui lo vogliamo “offrire” per essere desiderabili ai loro occhi: tu la posizione sociale (sto ai tuoi racconti di high life milanese fra riunioni di top manager e feste con modelle), Itaconeti la ricchezza economica (non gli sto spiando il redditometro, mi baso solo sulla capacità di spesa per le indipay che dichiara qui sul forum), io lo studio (credo di poterlo dire dato che non faccio nient’altro di serio da quando sono nato).
Perché lo abbiamo fatto? Perché, evidentemente, sapevamo di averne ineludibile bisogno per sentirci universalmente ammirati, socialmente accettati ed amorosamente disiati come le belle donne lo sono per le loro grazie. Perché, a differenza di altri, abbiamo capito prima che avremmo dovuto, “da grandi”, avere “qualcosa” per bilanciare un desiderio naturale dispari a nostro sfavore.

Il nuovo femminismo che tu difendi non si limita più ad abbattere le precedenti strutture che bilanciavano ex-ante le disparità di numeri e desideri fra i generi tramite l’arte, la religione, la politica, il pensiero e la società con quanto veniva chiamato “discriminazione”, ma, basandosi sulla menzogna dell’uguaglianza antropologica (secondi cui i desideri naturali e quindi i bisogni sarebbero uguali nei due sessi), assume a priori che ci sia una “discriminazione” laddove non viene ex-post osservato un 50 e 50 fra uomini e donne. E con questo giustifica ogni iniquità ai nostri danni, chiamando discriminazione il risultato del nostro impegno (nato al contrario per bilanciare il privilegio naturale femminile!)
Ecco che allora vengono creati ostacoli ai nuovi uomini che vogliano costruirsi una posizione sociale come la tua, una ricchezza come quella di Itaconeti, un percorso di studi come il mio. Ci si inventa la mitologia delle molestie sul lavoro per poter distruggere in un momento la carriera di chiunque in un’azienda su qualcosa la cui gravità e realtà risiede solo nella parole dell’accusatrice, si crea una propagande mediatica antimaschile che farebbe sentire chiunque un essere di serie B nel momento in cui dovrebbe costruire soprattutto la fiducia in se stesso per scegliere una carriera competitiva e remunerata, si rendono scuole e università sempre più vuote di contenuti interessanti, di competizione realmente basato sullo studio oggettivo, e piene di chiacchiere progressiste e di propaganda femminista (in modo che chiunque ami lo studio “da uomo” si annoi a morte o inizi addirittura ad odiarlo). Contemporaneamente, si creano percorsi privilegiati (se non per legge, almeno per orientamento psicologico-culturale) per donne nelle carriere remunerate, si finanzia ogni sorta di start-up al femminile, si riservano condizioni favorevoli alle studentesse nelle facoltà scientifico-tecnologiche (quelle che un tempo sceglievamo proprio per sfuggire all’eccesso di femminilizzazione degli altri mondi scolastico-accademici).

Quando io, te e @Itaconeti saremmo sostituiti a forza o spontaneamente da donne, e tutto ciò che avremmo costruito per bilanciare in desiderabilità e potere la naturale preminenza femminile nella sfera sessuale sarà in qualche modo “destrutturato”, la nostra libertà (intesa come forza contrattuale necessaria a non farsi tiranneggiare dal bisogno erotico-sentimentale, ma non solo) finirà.
E se tu credi che le cagne che ora abbiano contro Weinstein o contro Allen e che già stanno tentando di vietare a me (vedi quanto successo in Francia, in Svezia, in Corea) l’esercizio del culto di Venere Prostituta si fermeranno prima di aver in qualche modo considerato “violenza di genere” o “sfruttamento delle disparità sociali, econimiche, culturali ecc. uomo-donna” anche l’indipay più sfumato di un Itaconeti o il tuo “sfarfallare” fra giovani modelle, non hai capito con quale “golem” abbiamo a che fare.

Magari non lo vedrai nei prossimi anni, ma questo non significa che io mi stia sbagliando. Significa solo, lasciamelo dire, che si già troppo vecchio per preoccupartene.

Beyazid_II
Newbie
23/07/2018 | 18:17

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@marko_kraljevic said:
Ma vi interessa veramente sapere perché una modella di 25 anni sta con uno di 58? Io preferirei sapere perché non sta con me - che di anni ne ho 52 - e in effetti lo so. Guardatevi fuori e dentro, con calma e in profondità, e lo imparerete anche voi.

Sì, ci interessa perchè è paradigmatico del rapporto fra natura e società.

La donna gode del privilegio (di natura, e quindi di cultura) di ricevere il sorriso degli astanti, il desiderio subitaneo ed incondizionato dell’altro sesso, l’apprezzamento e l’accettazione di tutti al primo sguardo, per quello che è, per la sua grazia, la sua leggiadria, la sua essenza mondana, in una parola per la “bellezza” (anche quando essa manca, vi supplisce quasi sempre l’illusione generata dal desiderio), senza bisogno di fare obbligatoriamente qualcosa, di compiere particolari imprese (cui sono invece costretti i “cavalieri”), di mostrare questa o quella dote nella speranza di “fare colpo” su qualcuno in particolare o di emergere nella considerazione generale, proprio perché le è stato assegnato il privilegiato e confortevole ruolo di “selezione della vita” (ben simboleggiato dall’immagine dell’ovulo che può ben aspettare l’arrivo dello spermatozoo più veloce e resistente fra tutti quelli attratti senza bisogno di muoversi), senza il quale nessuna specie potrebbe preservarsi, ma con il quale i desideri umani di libertà e felicità hanno un rapporto necessariamente problematico.

All’uomo è invece dato l’opposto-complementare, assai più ingrato e disagevole, ruolo di “propagazione” della vita (disiare la bellezza con la rapidità del fulmine e l’intensità del tuono, non appena questa si mostra nelle grazie ch’è bello tacere, mirarla, seguirla e cercare di ottenerla in modo da permettere alla controparte femminile di selezionare fra i tanti chi eccelle nelle doti volute perché qualificanti la specie) e quindi, se vuole ottenere lo stesso sorriso del mondo, la stessa desiderabilità amorosa, lo stesso apprezzamento dal sesso opposto, la stessa accettazione sociale, deve COSTRUIRE socialmente il proprio ruolo.

Chi è bravo costruttore di se stesso (anzi, dell'immagine di se stesso più apprezzata dalla società: nella società turbocapitalista, stiamo ovviamente parlando del top manager "costruttore" di lavoro e ricchezza, secondo la nota leggenda neoliberista) viene, come un leone vincente, circondato da tante belle leonesse che con gli altri mostrano solo gli artigli della stronzaggine, mentre a lui offrono grazie, dolcezza e quasi venerazione.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 17:37

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@FlautoMagico said:
@marko_kraljevic concordo, specialmente sui colloqui di lavoro

Allora siamo proprio ai poli opposti anche in questo.
Per me un'esposizione non deve essere "seduttiva" (come pretenderebbero certe moderne teorie d'insegnamento), ma, al contrario, deve mantenere la giusta distanza propria all'oggettività, deve disinteressarsi di quanto non è necessario, deve dare l'idea del "grande stile che disdegna di piacere".

A me la matematica è sempre piaciuta per questo: perchè è una violenza che appare come bellezza, è una verità che si afferma a prescindere da tutto, con tutta la forza delle necessità, con più potenza di chi, per "convincere" sbatta ripetutamente contro il muro la testa dello studente.

"Fare pubblicità", nel lavoro come con le donne, mirare cioè a rendere gradito qualcosa (o se stessi) non con la pura forza dei fatti, ma con artifici di varia natura, insomma, non mi è mai piacuto. Purtroppo devo riconoscere che anche il mondo scientifico (ormai lontano dall'Episteme di cui parlava Platone e divenuto in tutto e per tutto "narrazione") si sta muovendo nella direzione del "marketing".

Beyazid_II
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20/07/2018 | 17:31

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@marko_kraljevic said:

@FlautoMagico said:
@Beyazid_II Esiste la seduzione, quella che ti fa sbrigare le pratiche più celermente quando allo sportello c'è una donna.

Ma anche un uomo, non necessariamente gay. E che ti permette di essere preferito in un colloquio di lavoro. O di far prevalere le tue idee tanto in un consiglio di amministrazione quanto al bar. La seduzione è arma universale e micidiale, e la donna è ottima scuola.

Sì vabbe', se chiami seduzione quella, allora anche io, che sono negato, ho "sedotto" più di una prof. per avere la lode all'esame....

Beyazid_II
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20/07/2018 | 17:28

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@marko_kraljevic said:
Caro @Beyazid_II, la futilità non sta negli argomenti ma nelle teste. Il tuo parlare di cose futili (o se preferisci leggere) sarà ben altro di quello di un cretino, te lo posso garantire. E poi - permettimi - se l'approdo finale di tante e raffinate letture è la mignotta, qui c'è chi è giunto alla stessa conclusione sfogliando sì e no il Tromba durante il servizio militare.

...ma io sono stato riformato. E' per quello che ci sono dovuto arrivare con "tante e raffinate letture".

A parte gli scherzi, ti ringrazio per la forse immeritata stima, ma da parte mia ti garantisco che se dovessi parlare per forza di qualcosa che non mi interessa risulterei irrimediabilmente sgradevole. Del resto, così le fanciulle hanno deliberato. Altrimenti non sarei qua a narrare di cose avvenute 20 anni fa.

La verità è semplice, sono io ad aver fatto un giro molto lungo per arrivarci. Sono di nuovo al punto di partenza? Pazienza! Del resto, anche andare in montagna è solo conquista dell'inutile, ma il fine è l'esperienza dell'ascensione.

P.S.
Se vuoi davvero conoscere quale sia l'approdo finale, devi aspettare gli ultimi tre gradi...

Beyazid_II
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20/07/2018 | 17:23

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II il corteggiamento non esiste più. Esiste la seduzione, quella che ti fa sbrigare le pratiche più celermente quando allo sportello c'è una donna. O che ti permette di avere una fidanzata in ogni porto.

come non esiste il sussidio di disoccupazione perchè si chiama "reddito di cittadinanza", come non esiste il censimento degli zingari perchè si chiamerà "attenta ricognizione della situazione dei senza fissa dimora con particolare riguardo alle esigenze dei minori"...

Chiamalo come vuoi, ma è sempre qualcosa che dobbiamo dire, fare, agire, quando la controparte è già apprezzata di per sè, ha un potere in partenza, sta dalla parte degli "esaminatori". E' insomma come giocare contro chi sta dalla parte del banco che comunque vince sempre.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 17:20

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@FlautoMagico said:
Da tutta europa quasi, diciamo più al nord che al sud. Le retribuzioni più o meno sono le stesse, tenendo conto anche della trasferta e del costo della vita. Per me londra o roma sono entrambe competitive.

Ah ecco....più a nord che a sud!

Si vede comunque che sono io ad essere nell'ambiente di lavoro più geograficamente sfigato (dove c'è particolare svantaggio ad essere in Italia rispetto al nordeuropa, intendo).

Beyazid_II
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20/07/2018 | 16:29

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II così deve essere infatti, secondo la morale mia e dei miei amati concittadini la donna deve essere libera di determinarsi.

Se tu la paghi non è libera per definizione, come non sono libero io quando lavoro per un altro. Invece se decide senza costrizioni di andare con uno che ha l'età di suo padre deve poter essere libera di farlo.

Questa è la nuova ideologia, e io sono un soldato che combatte al suo servizio. Chi si oppone verrà (è già stato in realtà) rottamato!

Questa è solo la vecchia menzogna del "sesso libero" dei sessantottini. Il sesso non è mai "libero" (almeno in questa accezione anarcoide), almeno per le donne, che hanno un desiderio diverso. Il loro è sempre motivato. Dai soldi o dall'amore, dall'interesse per la bella vita o da una debolezza psicologica per una figura paterna non ha importanza. E' sempre motivato. Non è mai casuale (come del resto motivato, e dalla biologia, è il nostro disio per il loro corpo).

Questo non significa certo che su un piano legale ed etico si debbano considerare "costrette" (altrimenti anche noi saremmo "schiavizzati" dal denaro o dal corteggiamento). Significa solo che bisogna piantarla con la retorica dell'autodeterminazione: nessuna scelta umana è davvero autodeterminata, giacchè tutte sono condizionate dall'esterno (o dall'interno: la biologia e la chimica) e dai rapporti di forza reali (chi tu dici viene senza costrizioni con te per fare un certo tipo di vita è comunque condizionata da un sistema culturale economico e politico in cui tu sei fra le elite forti; così come chi tu dici che "può benissimo non andare con le donne" è comunque condizionato dalla biologia e dai rapporti diciamo "economico-sentimentali" favorevoli alle donne).
Significa che libera scelta non deve essere la "scelta non motivata apparentemente da nulla", ma la scelta consapevole di un individuo dotato di libero arbitrio che pesa pro e contro (e che magari fra il contro di sopportare le "esigenze particolari" di un capo panzone e il pro di far carriera veloce, sceglie la seconda e la dà via).

Io non sono @Babbo che ti vorrebbe accusare di pedofilia solo perchè le donne che vengono volontariamente con te hanno la metà dei tuoi anni. Sono solo (per ora) un amico che ti mette in guardia dal fatto che, prima o poi, le tue stesse alleate di oggi arriveranno a dire che la scelta della donna non è libera neanche con te (perchè c'è la disparità di reddito, perchè c'è una mancanza affettiva, perchè c'è la pressione consumistica, perchè c'è una disparità di esperienze e tante altre amenità che tu ben conosci perchè qui sono i maschi invidiosi a rinfacciartele).

Attento a non essere rottamato tu da quelle stesse che credi di liberare.

P.S.
Personalmente, mi sento molto più libero nel mio lavoro che quando devo "corteggiare/sedurre" una donna (costretto dal bisogno, costretto a ricadere in schemi sociali odiosi, sottoposto a stronzaggine di varia natura ecc.). Dato che di solito si deve passare molto più tempo a lavorare che a scopare, sono evidentemente più fortunato di te.

P.P.S.
Se agli amati (da chi?) tuoi concittadini piace tale verbo (sia reato il guardare, si condanni la gente su accuse degne di una favola di Fedro, si impedisca all'uomo, come individuo e come genere, di bilanciare in qualunque modo il potere della bellezza), che lo facciano valere a casa propria (dove mi pare che però qualcuno si stia svegliando prima che in Europa, dove diciamo piuttosto "anche noi dobbiamo avere, in partenza, la stessa forza contrattuale e la stessa libertà di scelta in quanto davvero rileva davanti alla Natura ed alla felicità individuale"). Perchè pretendete di diffonderlo qua?
Un sistema culturale che dà nei fatti sempre più libertà (ma io direi arbitrio) solo alle donne, mentre comprime quella degli uomini se non altro perchè continua a toglierci i mezzi per liberarci dalla "naturale tirannia" psicosessuale (le disparità di desideri e tante altre cose biologicamente e quotidianamente verificabili) è destinato ad essere sempre più odiato da sempre più uomini, assieme a chi lo ha proposto e a chi lo sostiene. Aver vinto due guerre mondiali non vi garantisce di vincere la prossima. Potreste avere delle amare sorprese. Magari anche in casa vostra.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 16:02

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@Tesista76 said:
@ir_pelato

C’est la vie 😂

Ci sono personaggi come gnoccalowcost che poveretti non si rendono conto di quanta immaturità si portano dietro, In ogni caso meglio che rimangano in un pub a provarci con le 20 enni in cerca di svago che in casa a fare da capofamiglia.

Flauto ha trovato una ragazza con una marcia in più, caso limite ma plausibile

Parole sante.
Almeno io me ne rendo conto (ho fatto una scelta esistenziale precisa di opposizione alla maturità che, costringerebbe oggi ad una direzione non condivisa nè materialmente nè idealmente). Ma c’è chi pensa di essere saggio solo perché vecchio….e sapiente solo perché professore.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 16:00

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@ir_pelato said:
@Tesista76 dalle mie parti vedo addiritura 50enni che si fumano le canne nei posti da 25 enni portandosi dietro ragazzi di 25 anni senza auto che si sfondano dai cannoni pure loro,se capitate a torre del lago venite il venerdi sabato sera al mamamia-bocachica 1 è gratis 2 è buono per le free a maggio pomiciai con una che festeggiava l addio al nubilato(poi dice i matrimoni come fanno a durare??)e poi conosco gente che a 40 anni se ne è gia pentita d essersi sposato e c hanno i ifigli piccoli,vedrete fra qualche anno quanti divorzi

C’è di peggio dei 40enni immaturi che assieme ad alcuni 20 si fanno i cannoni. Ci sono 60 ancora più immaturi che si sono fatti una cattedra e pretendono di insegnare a tutti i 20 come "si sta al mondo".

Beyazid_II
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20/07/2018 | 15:50

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II in realtà un pulpito ce l'ho perché come spiegato più volte sono anche americano e ho vissuto per un periodo negli states.

A parigi sono pochi a guardarci se per strada sto mano nella mano con la mia tipa, e questi pochi sono, indovina un po', turisti che commentano in italiano ad alta voce. A roma invece è un inferno, ci guardano come appestati.

Italiani brava gente? Non proprio.

Appunto, è quello che dicevo. L'America, nata con la schiavitù dei neri, che fino alla 2gm metteva nell'armistizio la clausola "ridateci i prigionieri bianchi e lasciate i neri ad Hitler" e fino agli anni 70 non faceva entrare le donne in Pit Lane ad Indy (è morta in questi giorni la moglie di Mario Andretti che ha vissuto quel periodo) non ha alcun pulpito per fare oggi prediche in Italia, nè contro il razzissmo nè contro il maschilismo.

Il neo-puritanesimo di me too che dà dei maiali a tutti e vorrebbe in galera la gente con processi mediatici e di Liberty Media che ha abolito le grid-girls non è sintono di alcun progresso sociale, ma solo di un imbarbarimento giuridico e di un rincretinimento culturale.

In Italia ci sono le malelingue? Vero, ma possiamo fregarcene e lasciarli rosicare.
Mentre nella tua bella Parigi, se faccio quello che ho fatto 20 anni fa per scoparmi da liceale una modella (ovviamente pagando), mi mettono dentro.

E' questa la differenza: il nostro presunto provincialismo (ma se poi essere "cittadini del mondo" significa volere multe come Macron per chi fa complimenti per strada, mettere la presunzione di stupro in ogni rapporto come in Svezia o vietare la prostituzione come in mezzo mondo, rinuncio volentieri a tale cittadinanza) non limita nei fatti la tua libertà, mentre il vostro "internazionalismo" mi impedisce per legge di scopare (divieto di prostituzione), mi ha impedito con le crisi economiche indotte di fare indipay, mi ha cancellato (psicologicamente, con il bombardamento cultruale) la libertà di "provarci" con il free.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 15:38

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@Itaconeti said:
@Tesista76

l'articolo che hai postato dice proprio che questi siti non sono considerati prostituzione in francia e aggiungo non sono considerati tali neanche negli altri paesi

sono siti di dating per relazioni ma che poi per eccezione vi siano anche delle professioniste in caccia di clienti è normale come in tanti siti di dating

nella relazione sugar il rapporto è impostato di comune accordo e può essere esclusivo o aperto

se è impostato come aperto - la formula che personalmente pereferisco - le due parti quando non sono insieme fanno quello che vogliono

e quindi sia la girl che il daddy possono avere altre relazioni come in tutte le relazioni aperte

noi non possiamo sapere qual'è la relazione dei due del topic - se free di puro feeling o free sugar e se esclusiva o aperta - e infatti nel 3d ci si interroga sulle varie possibili motivazioni di una modella di 25 anni nello stare con un uomo di 58

escludendo il solo interesse economico - altrimenti farebbe la escort di lusso guadagnando cifre enormi - restano le opzioni free sugar con un mix di feeling e stile di vita e l'opzione free puro con solo feeling

Attenzione ragazzi a questa china. Un paese servo della finanza e del femminismo come la Francia di Macron non può fare testo. Nè si può parlare di oggettività del diritto in ambito sessuale in ormai tutto l'occidente.

Qua, semplicemente, ci sono diversi gradi con cui si colpisce il tentativo maschile di bilanciare socialmente il potere contrattuale, sentimentale e sessuale della bellezza. Per prima si attacca la prostituzione. E si inizia con quella "di strada", con l'accusa che "sono tutte sfruttate". E partono le multe ai clienti. Poi si prosegue con quella nei locali ("sono gestiti dalla mafia", "anche se sono volontarie sono spinte dalla povertà" ecc.). E si chiudono i locali dove si può "andare oltre" la lapdance. Poi si colpisce la prostituzione tout court (come appunto in Francia e in Svezia, stabilendo che è "discriminazione in quanto sfrutta una gender-gap socio economico" e "violenza di genere" e si inizia a prescindere dalla libera scelta della donna. Adesso si va oltre la definizione di "prostituzione" correttamente riportata (contratto di sesso per denaro o altra utilità economica") e si considera "molestia" anche quando (vedi il caso Weinstein) l'uomo ha altro da offrire in cambio della concessione delle grazie femminili (posizione sociale, fama, bella vita, favori particolari nella carriera ecc.). Non pensate che fra poco non si colpiranno anche i siti di "sugar-baby" o "sugar-daddy" con la scusa che "comunque si sfrutta l'immaturità delle ragazze, il consumismo che crea bisogni indotti, la pubblicità che mercifica il corpo della donna. le disparità di retribuzioni" ed il solito disco rotto già sentito per la prostituzione. Certo, sarà difficile stabilire oggettivamente quanto peso ha il "contratto implicito" di cui parlate. E' stato però un ostacolo per il femminismo giuridico la difficoltà di stabilire il confine fra lecito e illecito in definizioni vaghe e onnicomprensive come le odierne "violenze" o "molestie"? Magari l'accusa di "pedofilia" che per ora fa capolino solo nelle critiche schiumanti di rabbia di qualcuno sarà usata in qualche modo dai prossimi step del femminismo (come in parte già succede in casi particolari).

Per concludere: non dividiamoci fra noi fra pay, indipay, free e quasi-free. Tutti, chi più chi meno, dobbiamo poter contare su qualcosa (che sia il denaro sonante o il "saper fare" seduttivo che si acquisisce con l'esperienza e si corrobora con l'affermazione sociale) per controbattere alla bellezza (alla sua illusione). Ed il femminismo non fa altro che cercare di vietare o distruggere questo qualcosa, ricorrendo ora al divieto legislativo, ora alla denigrazione culturale.

Per questo dobbiamo restare uniti e contrattaccare compatti qualunque deriva legislativa e culturale ostacoli nei fatti il primo fra i diritti: lo ius chiavandi.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 15:25

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@FlautoMagico said:
@Beyazid_II ovviamente parlo per me, con un lavoro tipo il mio hai offerte da tutta europa. Addirittura per me le agenzie di collocamento sono un fastidio, perché quando si apre una nuova posizione mi chiamano in 2/3 nello spazio di un giorno. Questo è il mercato.

Esatto: da (quasi) tutta Europa. Ma anche dall'Italia? Con le stesse retribuzioni tedesche o francesi?

Beyazid_II
Newbie
20/07/2018 | 15:23

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@Itaconeti said:

@Tesista76 said:

La modella del topic prevede una certa indipendenza economica e dunque, senza voler riprendere ancora l’argomento, si profila come una libera scelta affettiva

che sia una libera scelta affettiva o un mix di feeling e di stile di vita più elevato - il cosiddetto semifree o indipay - è qualcosa che sta solo nella mente della ragazza e che nessuno di noi può sapere

l'inidipendenza economica non dimostra che non ci possa essere anche interesse per uno stile di vita più elevato offerto dal partner - e che con i propri mezzi lei non può permettersi - anche perchè le sugar baby hanno quasi sempre indipendenza economica propria o garantita dalla famiglia

E a volte neanche lì, dentro la mente della ragazza, si conosce la distinzione!

Mi criticate se mi permetto di citare il film "l’Amante" di Annaud? Anche lì la ragazza (minorenne francese in vietnam) pensava di aver trovato semplicemente lo sponsor cinese (10-15 anni abbondanti di differenza) per fare la bella vita. Salvo poi, una volta sola sulla nave che l’avrebbe riportata in patria, scoprire piangendo di aver lasciato alle spalle l’unico amore della sua vita (tanto da farle dire “presto, nella mia vita, fu tardi”).

Contro il moralismo (che ha intaccato anche la politica e la giustizia, se pensiamo a quanto ci si è accaniti contro la presunta “prostituzione minorile” dalle parti di Arcore), può più il tocco di un regista (e di una scrittrice: Marguerite Duras) che non mille saggi di psicologi o mille trasmissioni “progressiste”.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 15:12

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@Itaconeti

Grazie di esistere.
A differenza di altri che raccontano di modelle che, comunque, non sarei mai in grado di raggiungere, incontrare e tantomeno affascinare, tu dai una speranza anche a noi negati per il free.
I tuoi interventi in materia di indipay sono autorevoli perché si limitano a descrivere oggettivamente un mondo che hai il privilegio di conoscere (e che quindi non può essere smentito dalle esperienze altrui, ignare della materia).

Tu hai diritto di lamentarti del “moralismo nostrano”, perché, al contrario di altri, limiti questo termine agli scontati giudizi morali negativi (dettato dall’invidia e dall’impotenza) volti contro le giovani che non hanno altra colpa se non volersi accompagnare ad uomini maturi ed abbienti semplicemente per godersi la vita.
La mia amica ex- modella ed ex-escort che citavo sopra diceva anche: “il moralismo è il timore che qualcuno, in qualche parte del mondo, riesca a godersi la vita”.

Beyazid_II
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20/07/2018 | 15:07

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@FlautoMagico said:
Come volevasi dimostrare alla fine si scopre che le modelle (part-time o no) se la fanno con il 40enne. Le statistiche sui matrimoni non si applicano perché quando la differenza d'età è alta ci si ritrova sepolti dalle critiche di amiche, parenti vari e gente assurda che non ha nessun titolo a parlare, e alla fine si preferisce evitare tutte le formalità per quieto vivere.

In italia purtroppo dopo la discriminazione verso il nero e poi verso la donna abbiamo pure la discriminazione verso la differenza d'età. Inutile dire che in altri paesi la cosa non si pone nemmeno, ma l'italia rispetto al resto del mondo è una provincia di bigotti.

Comunque la mia ventenne ex modella la maglietta di porn hub ce l'ha davvero, che dire, è un peperino…

Io sarà da parecchio che non ho intenzione di sedurre, però tu qualche volta non mostri certo l’intenzione di persuadere il forum.
Per la verità, ho quasi sempre apprezzato i tuoi interventi, in quanto originali e, seppur brevi, distinti dalla presenza di un pensiero dietro alle parole (cosa non sempre scontata quando si è dietro una facile tastiera).

A differenza di @Babbo, io non metto mai in dubbio i racconti tuoi (o di altri) su fatti personali o inverificabili, perché, non essendo questa l’aula di un tribunale dove tutto dovrebbe essere dimostrato e dimostrabile, credo che lettura e dialogo non futili non possano prescindere dal prestare inizialmente ascolto e fede all’interlocutore.

Il principio del “il teste dice la verità fino a prova contraria” viene però meno quando si sente nel suo racconto qualcosa che è smentito dalla realtà (anche quotidiana) di chi ascolta, legge e vive fuori di qua.
Lì crolla la credibilità anche su tutto il resto.

Avresti dovuto risparmiarti la ramanzina “progressista” sugli italiani provinciali e razzisti (non ti era neppure necessaria per rispondere alle critiche di @Babbo e degli altri i quali, non conoscendo la moderazione, si sono lasciati purtroppo andare a discorsi a cui nessun interlocutore terzo avrebbe potuto prestar fede).

Da quale pulpito poi?
Prima che certi figuri di wall-street, decidessero di riversare sulle nostre coste masse di africani a cui essi stessi hanno distrutto la terra natia fra bombardamenti e colpi di stato volti ad “esportare le democrazia”, in Italia non si sapeva manco cosa fosse la discriminazione contro il nero (al massimo saltava fuori in qualche coro da stadio contro un naturalizzato della squadra avversa, ma solo per tifo campanilistico, non certo per razzismo).
Ora l’abbiamo semmai imparata (per forza di cose) dagli Usa, dove mentre si criticava l’esitazione di Hitler nello stringere la mano a Jesse Owens, quest’ultimo lasciava scritto “beh, alla fine la mano me l’ha data. Del resto io vengo da un paese dove un nero non può neanche sedersi in un bar a prendere un caffè”.

Se per te il modo “non discriminatorio” di trattare le donne è quello preteso dal femminismo americano dello “stupro visivo”, del corteggiamento non rinunciatario sanzionato come “stalking”, di qualsiasi apprezzamento passibile di “molestia”, nonché dell’empowerment e di altre iniquità politically correct, quello insomma che è naturale conseguenza di una “venerazione delle donne degna delle scimmie” (come aveva acutamente notato Schopenhauer due secoli fa ed aveva genialmente colto Einstein nel secolo scorso), allora è meglio che rinunci alla cittadinanza italiana. Non sono il solo che preferirei di gran lunga la guerra civile o mondiale al vedere la mia patria ridotta ad una brutta copia degli states anche su questo punto cruciale per la “vivibilità spiccia” di ogni uomo etero.

Abbiamo già otto secoli di sopravvalutazione estetico-filosofica della figura femminile nata con il medioevo delle dame, dei poemi e delle giostre (spesso mortali) in loro onore e mai estinta, se pensiamo tanto al persistere dell’obbligo del corteggiamento (che tu dici essere sparito ma che in realtà continua ad imporre a noi le fatiche e i rischi della cosiddetta “conquista” che tu preferisci con termine apparentemente neutro chiamare “seduzione”) quanto all’asimmetria del “non si tocca la donna neanche con un fiore” (quando questa, forte della sua intoccabilità, proprio come le scimmie sacre del templio di Benhares citate da Schopenhauer, arriva a permettersi di tutto sulla controparte - qualsiasi perfidia, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi inflizione di dolore, umiliazione e irrisione - ché se un uomo reagisse come farebbe con un altro uomo sarebbe appellato bruto e socialmente ostracizzato oppure legalmente imprigionato).
Non aggiungiamoci pure la “cultura ufficiale” (con le sue equazioni indimostrate femminile=bello, buono, pacifico, progredito e maschile=brutto, cattivo, violento, rozzo) e lo “stile hollywoodiano” (in cui veniamo presentati come punching ball sessuali, come molestatori da punire o come bruti da abbattere). Piuttosto mi tengo il presunto “provincialismo” (che, se significa continuare a leggere la divina commedia e a scrivere come Petrarca in poesia e Boccaccio in prosa significa anche rimanere “signori di province” almeno in ambito artistico-intellettuale).

Penso, però, tu sia troppo intelligente per cadere nella trappola doppiogiochista delle femmine italiane (che vogliono insieme gli antichi privilegi ed i moderni diritti), senza capire come quanto (dalle differenti scelte di studio e di lavoro al non perfetto 50 e 50 in ogni ambito) viene presentato come l’effetto di una “discriminazione contro le donne” sia invece (almeno qui da noi) il frutto di un loro privilegio, ovvero dell’equo ed umano tentativo di alcuni uomini di bilanciare con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, la ricchezza, la cultura, il potere, e quant’altro possa conseguire da fortuna o merito individuale, tutto quanto in desiderabilità ed appunto potere è dato alle donne per natura, delle disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale, nonché da quelle psicologiche correlate alla predisposizione ad esser madri (per loro avere un super lavoro, un super guadagno è una scelta, per noi un obbligo – perché altrimenti non abbiamo la bellezza o la sua illusione per avere il “superapprezzamento” sociale concesso qui in Italia praticamente a tutte: la “differenza di genere” sta tutta qua).

Infine, non rigirare la frittata. Se in Italia ci fosse una discriminazione contro la differenza di età, ci sarebbero delle leggi o dei costumi volti ad ostacolarle (e se qualcuno ci sta provando, è proprio il nazifemminismo Usa: mi è capitato di leggere gli atti di un processo in cui, per “corroborare” l’accusa di una non dimostrata violenza su minore, si citava il fatto che l’accusato avesse sempre scelto compagne molto più giovani di lui, quasi a dire “è costituzionalmente pedofilo perché ama le giovani”). Qua invece la rabbia di molti nasce dall’opposto: i costumi consumistici e le leggi (soprattutto economiche) permettono solo a certi uomini maturi e affermati (i soli che abbiano fatto in tempo a costruirsi una posizione e soprattutto un patrimonio, quando era ancora possibile) non solo di trombare, ma pure di sentirsi apprezzati (quasi come “papà”, dici tu provocatoriamente ma non senza ragione) con quasi tutte le belle ragazze, ed escludono i coetanei di queste da ogni discorso (insomma, proprio come nell’episodio raccontato sopra da @power).

E la rabbia fa presto a farsi morale. Di qui certi interventi inappropriati e anche gratuiti contro di te.
Avrai capito che ti do ragione nella sostanza del 3D, ma nonostante questo (anzi, proprio per questo) ti rimprovero gli argomenti. Se al moralismo dei “tradizionalisti” (tra moltissime virgolette) contrapponi quello dei “progressisti” rischi di passare dalla parte del torto, o comunque ti abbassi al loro livello (non consono alla tua “statura morale, e diciamo pure anche fisica” – tanto per citare un De Sica che certamente apprezzerai quando duella con il “vigile” Sordi).

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