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♂ GODO A GOUDA – HARD CORE NIGHT AL FUN4TWO ♀

Sono nella terra dei mulini a vento e dei tulipani per un weekend di maialate: c’è la festa del Wasteland ad Amsterdam il sabato.
Il venerdì libero decido di visitare Gouda. Se, come me, non sapevi dell’esistenza di una Gouda su questo pianeta, ora Gouda potrebbe diventare la tua città del cuore. So che con questa recensione è come rivelare un segreto dell’esistenza dello Shangri-Là della chiavata. Ma Gouda è famosa, tra i buongustai, per essere la capitale del formaggio. Te la regalo come scusa da raccontare a casa quando tua zia e i colleghi di lavoro ti chiederanno perché ci vai quattro volte all’anno a “Godda”, la pronunceranno così. Che poi già suona strana di suo. Dirai che vai matto per i formaggi, che il caseario è la tua drogga. Ricordati di comprarti qualche formaggino, anche al duty free dell’aeroporto di Amsterdam, come faccio io, tanto per essere credibile.
Dicevo: a Gouda come in tutta l’Olanda c’è una gran quantità di vacche. Queste vacche e un gran numero di maiali quattro volte l’anno si riuniscono al Fun4Two per l’Hard Core Night, che è un locale scambista a un tiro di cannone dalla città. E non parlo di qualche orgia di periferia o gang bang parrocchiale. Parlo di due-trecento arrapati nudi o con il minimo sindacale addosso, che si scopano come se non ci fosse un domani. Tutte le orge a cui hai partecipato finora sono sagre paesane, in confronto.
Mi registro sul loro sito, la registrazione fatta con largo anticipo vista l’affluenza biblica, e se sei single: 200 patacche da pagare in anticipo per riservare i posti limitati.
Trovo un appartamento a Gouda. Dopo una giornata di visite culturali — perché comunque a Gouda non va solo la formaggia — la sera verso le 9.30 fischio un Uber e mi ritrovo in aperta campagna, che ormai è un déjà-vu. Da lontano sbrilluccicano luci rosse, viola: sembra un albero di Natale troiesco, e anche questo è un déjà-vu. Una villa stile fattoria olandese, che ti immagini abitata da quelle olandesine dagli occhi azzurri, nasino all’insù, zoccoli di pioppo e cuffiette dalle quali cadono treccine bionde. La fila per l’ingresso, che sembra l’audizione per un porno, parte dal parcheggio: davanti a me coppie, single e poi arriva la squadra dei mandingo accompagnati da troione assortite. Perché il nero tira, si sa.
La qualità della figa è notevole, l’età spazia da “mi godo o mi gouda la pensione” a “sto decidendo dove andare all’università, ma sono ancora alle superiori”.
La tipa alla cassa mi spiega un po’ di dritte per i neofiti. Mi consegna la chiave dell’armadietto. Te ne stai nudo o con le mutande e maglietta; se sei timido o la mamma ti ha detto che sennò prendi freddo, resti fuori.
Mi svesto, lascio nell’armadietto vestiti e pudore. Me ne vado in giro in mutande e maglietta: alla fine sono tutti così. Le donne in biancheria sexy. E dimenticavo: le ciabatte portatele da casa. Il locale è una specie di resort della chiavata: zona pista al centro con divani per le ingroppate sociali; al piano di sopra c’è un ballatoio dove si può osservare tutto quello che succede giù o schizzare in testa a qualcuno. Poi una serie di stanze che riproducono un villaggio agreste olandese, con le varie casette che sono stanze da trombata; se sali ancora più su — ammesso che riesci a capire come cazzo si fa — ti ritrovi in una mansarda. Al piano terra un lungo corridoio porta alla piscina idromassaggio, la sauna, alcove con tendaggi per chi vuole privacy. Praticamente un resort della chiavata.

Toc, toc.
Entro in una di quelle belle casette del paese dei balocchi. Una gnocca con le mani legate a una catena che pende dal soffitto. Prendo a toccarle culo e tette, l’abbraccio da dietro e annuso quei capelli odor di gelsomino e sigarette. Lei, come in preda a un’estasi scopereccia, geme, piange, si dimena; appena sente qualcosa di duro premuto al culo mi si struscia addosso, quel bel culetto guarnito da mutandine di pizzo rosso. Un breve check del cornuto che la gestisce se sto indossando la preserva. Inizio a sditalinare: lei è bella ripiena di lubrificante, tipo infilare il dito dentro un tubo di silicone. Chiavarla così in piedi mentre dondola appesa come una coscia di San Daniele DOP, la figa sdrucciolevole, e oltretutto è appesa troppo in alto… ti chiedi cosa deve fare un uomo per chiavare, Cristo di un Dio!
Cerco di tenerla ferma, la suina, ma lei fa di tutto per rendere le cose difficili, col pisello che mi sguscia fuori di continuo. Ma vaffanculo…
Passo in un’altra stanza. Una cinese o giapponese o comunque un’asiatica del cazzo si sta prendendo un doppio biscotto Ringo, impalata sotto un nero e un tizio che deve essere il suo compagno, che se la sta inculando alla velocità interluminare. Grida atroci provengono da un’altra casetta di fronte. Siamo tutti incuriositi: se stanno godendo come porci o stanno girando il sequel di “Non aprite quella porta”, nessuno lo sa perché la porta è chiusa da dentro.
Il casino della musica si interrompe. Il famoso DJ Klaas van Kazzen sta blaterando in idioma olandese. Qualcosa sta succedendo sotto; mi affaccio alla balconata per guardare. Sono le 22.30 e, come da programma, inizia lo show delle Gigolinas. Direte: chi minchia sono le Gigolinas? Sono quattro mignotte ninfomani di età ed etnie disparate. Le Gigolinas sono il boost che proietta una serata già esplosiva oltre la scoposfera. Quattro eroine Marvel della chiavata. Si piazzano sul divano al centro del locale e cercano di salvare il mondo scopando con qualsiasi essere vivente passi a tiro di fica, mani e bocca. Se fossero ammessi anche i cani si farebbero pure quelli: fortuna che non sono ammessi — fortuna per i cani, intendo.
Sarebbe da saltare direttamente la balconata, ma io non sono un supereroe Marvel. Mi precipito di sotto scendendo le scale, sempre per la legge “chi prima arriva, prima scopa”. C’è questo tipetto alto un cazzo e un barattolo che è arrivato prima di tutti, sta chiavando come un mandrillo una delle Gigolinas, abbastanza stagionata ma ancora pisellabile. La pompa come un motore a diecimila cavalli; siccome la vedo libera di bocca le presento il cazzo che lei non disdegna. Ogni tanto se lo toglie dalla bocca, come un boccale, per riprendere fiato. Poi si riprende il cazzo in gola con le orbite che sprizzano fuori. Il nanetto ci dà dentro di brutto.
Si è appena liberata un’altra Gigolina proprio vicino a noi. Mi sposto: è sdraiata di sponda, le piazzo un cazzo in bocca pure a lei così, per fare un incontro conoscitivo. Mi chiede se la voglio scopare; ci penso, faccio il difficile, me lo tiro: “Dai, va bene, non avevo nulla da fare”. La tizia ha la faccia selvatica delle steppe moldave. Un paio di pompaggi e risalgono effluvi di… avete presente un’acciuga affumicata? Ecco. Se c’è una cosa che me lo fa ammosciare è proprio quella: l’acciuga affumicata. Fingo una eiaculatio precox e saluto facendo anche una figura di ‘mmerda con tutti quelli che ci stavano guardando: “Ho sborrato subito perché sei troppo figa”, faccio. Rimane un po’ indispettita, se ne farà una ragione. La ragione è dietro di me che si strapazza il cazzo.
Provo con la successiva che è già a pecora, perché è così che dà il meglio della sua personalità. Sfodero il randello e lo pianto tra quelle chiappe contadinesche. Mora, sui venti, a livello estetico: una bambola gonfiabile. La scopo finché mi reggono le ginocchia e le palle. L’atmosfera generale è quella di una specie di corrida scopereccia: nel mezzo quelli che danno spettacolo, intorno gente che beve, grida, scopa negli angoli, discute sulla crisi in Medio Oriente.
L'obiettivo è farmi tutte le Gigolinas. Passo alla successiva che è impegnata a divertirsi con una slinguacciona fra le gambe.
Stiamo parlando di una biondina occhialuta, una di quelle che incroci la mattina nella metro con zaino in spalla o che escono dall’auto dei genitori davanti alla scuola. Era in fila davanti a me all’ingresso e le hanno controllato i documenti. Il fatto che me la ritrovi qui almeno garantisce che è maggiorenne. Credo.
Insomma, questa troietta da prima della classe interrompe il grufolare tra le cosce della Gigolina, si gira e ci sono io e un tizio che stiamo armeggiando con i nostri piselli. “Fuck me!” dice, e si sculaccia il culetto. Con quello sguardo da meno 11 diottrie l’invito non sembra rivolto a noi due in particolare, ma al pueblo.
Il tipo accanto a me parte alla rincorsa: ha notevoli difficoltà a farselo arrizzare; la biondina, che non ha la pazienza di una badante ucraina, s’incazza mentre in due cercano di infilare un preservativo su un mini cazzo moscio. Mi propongo, non per mettere la preserva a lui ma per chiavare lei.
“Questo è così complicato”, mi fa. L’agguanto, le sparo la lingua in bocca; ci ragiono dopo che quella bocca ha appena ciucciato la passera alla Gigolina e succhiato chissà quante cappelle.
Insomma, siamo lì che slinguiamo: il mondo fuori non esiste, nemmeno quei quattro o cinque tizi nudi che si strizzano le fave intorno a noi. Non esistono. Nei film a questo punto parte qualche pezzo di Bryan Adams; qui invece parte un pompino bavoso che sembra Blob, il cazzo venuto dallo spazio.
Si appecora, mi presenta quelle belle chiappe color latte di caprino che allargo, la fregna scura, liscia, da verginella. Metto una gamba sollevata sul divano per affondare meglio il cazzo dentro, le agguanto il culo e lo pianto nelle profondità del suo utero. Lei se ne sta schiacciata sotto, mi guarda da sopra una spalla con gli occhiali che se ne stanno tutti torti da un lato, che mi viene da ridere. Evito di guardarla. E già, dimenticavo: per rendere tutto così tenero, ha la cuffietta con orecchie da coniglietta.
A ogni affondo mi sento vibrare i coglioni: una specie di gorgoglio, un tremolio effervescente intorno al cazzo, come se si fosse infilata un Alka-Seltzer nell’utero per digerire meglio i cazzi. Passo una mano sotto per capire cos’è e m’accorgo che sta armeggiando con un vibromassaggiatore, la viziosetta. Riprendo fiato, sfilo l’uccello e prendo a fotticchiarla fica e culo a colpi di lingua.
Mi tolgo la maglietta perché si cuoce, la avvolgo intorno al suo collo inarcando la schiena; nella frenesia della trombata mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di approvazione di un milfone arrapato che mi fa capire che vorrebbe essere messa sotto pure lei.
Siamo tutti sudati e appiccicosi di sborra, sudore e squirtate e poi… mi sono rotto le palle. Arriva il momento di dirci addio. Slinguiamo ancora.
“Nice”, mi fa.
Me ne vado; la ritrovo mezz’ora dopo al piano di sopra insieme a tre tipi, mentre sta facendo ripetizione di cazzi per l'interrogazione di domani.
Incrocio una coppia, li sento parlare in italiano. La classica coppia di mezza età d’insospettabili, che potrebbe essere lui il tuo collega di ufficio e lei la professoressa di lettere dei tuoi figli; anzi, probabilmente lo sono. Sicuro che hanno detto a casa che venivano a Gouda per i formaggi.
Si vede che sono due pesci fuor d’acqua. Passo un dito sulla schiena di lei: fa un salto come se le avessi scaricato un taser addosso, si mette a ridere. Si vede che vorrebbe saltare nella mischia. Lui pensa: “Che moglie troia che ho.” Lei pensa: “Ci devo tornare con le amciche.”
Salgo in mansarda.
La mansarda è il luogo più sordido del locale, quindi il più interessante. Nella semi-oscurità, sotto un soffitto basso, opprimente, corpi avvinghiati che strisciano, si contorcono come lombrichi. Negli angoli bui, ombre che fottono altre ombre. Per passare da una parte all’altra di questo stanzone devi stare carponi, strisciare tra cazzi, culi, cosce. Il soffitto è disegnato come la stanza dei bambini, con tante belle stelline.
Ah… la puzza di formaggio che senti non è perché sei a Gouda, ma di piedi veri. L’ambiente è così stretto e basso che ti ritrovi addosso anche le strusciate di cazzi altrui che ti lasciano la bava come lumache.
Mi avvicino a un quarto di bue steso a terra, le allargo quelle coscione cellulitiche e mi metto a scoparla; c’è un tipo che le sale sopra, di traverso, scopandola in bocca, per cui mi trovo il culo peloso di questo qui in faccia. Gli do uno schiaffone sul culo; rischio un cazzotto in faccia o, peggio, che lo prenda per un invito a succhiarglielo. Per fortuna la prende a ridere. La paranoia è totale.
Intanto sopra di noi, nell’abbaino, c’è un’ingroppata a tre. Scopare nell’abbaino, a livello di ariosità, è come scopare nel tunnel della risonanza magnetica; che già in due mi manca il fiato a pensarci, figuriamoci in tre.
La cicciona che mi sto fottendo sembra spalmata sul materasso: una braciola rosa impanata. Me ne vado in un angolo per riprendermi.
Passano cinque minuti; compare un’ombra con due tettone. Inizio l’approccio accarezzando partendo dalle spalle; delicato scendo al seno. Lei si gira e parte ad abbracciarmi e ficcarmi la lingua in bocca, prende a succhiare il birillo. E io che volevo solo un po’ di romanticismo.
La giro, la piazzo a culo ritto e prendo a fotterla. Il marito accanto si sega facendo strani rantoli, come una testuggine in agonia. Mi viene da ridere.
Faccio finalmente una sborrata epocale che non ne posso più. Lei mi prende il cazzo, vorrebbe succhiarmi le ultime gocce di sborrra. Mi riprendo il cazzo che mi appartiene, mi sdraio, non c'è verso di rilassarmi un minuto, la ninfomane inizia a leccarmi come un bastone di liquirizia, prende a dirmi porcate in varie lingue.
Iniziamo una conversazione, come se ci trovassimo al bar. Mi viene in mente che in questo girone di trombaioli, alla fine della conta, ne avrò chiavate sei-sette e mai che mi fosse venuto in mente di chiedere un nome qualsiasi. E nemmeno l’hanno chiesto a me.
Mi chiede di dove sono. “Ah” mifa “Ittallia” e si mette sbrodolare sulle sue vacanze in Italia: Napoli, Capri, Roma, Firenze, Strangolagalli e Belsedere, mentre con una mano mi strapazza il pisello con la speranza di farsi un’altra chiavata. Poi finalmente si leva dai coglioni.
Alla fine di queste serate ti riprometti di non rivedere una figa per un mese. Ma poi domani… anzi, stasera c’è il party del Wasteland ad Amsterdam.
Ma questo è un altro report…

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